Rave party: allarme delle opposizioni. Letta scatenato. Il Viminale: “Non lede nessun diritto”
ROMA – Praticamente senza argomenti dopo la batosta elettorale, il Pd e le altre forze di opposizione si buttano a pesce sulla norma anti rave party. E scatta il botta e risposta tra il segretario dem, Enrico Letta, ed il vicepremier, Matteo Salvini. E sul tema intervengono anche gli avvocati penalisti. Letta: “Il governo ritiri la norma sui rave “.
Letta – “Il Governo ritiri il primo comma dell’art434bis di riforma del Codice Penale. È un gravissimo errore. I rave non c’entrano nulla con una norma simile. È la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione. #NoArt434bis”. Lo scrive su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta.
Salvini a Letta – Il vicepremier Matteo Salvini, replicando al tweet in cui il segretario del Pd Enrico Letta chiede all’esecutivo di ritirare la norma sui rave party.”Indietro non si torna”.E ancora: “Un Pd ormai in confusione totale difende illegalità e #raveparty abusivi, chiedendo al governo di cambiare idea. No! Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano”.
Viminale – “La norma anti-rave illegali interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la salute e l’incolumità pubbliche”. E’ quanto fanno sapere fonti del Viminale. Una norma, precisano sempre dal ministero dell’Interno, “che non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà di manifestazione sanciti dalla Costituzione e difesi dalle Istituzioni”.
Avvocati penalisti – Sull’argomento interviene il presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza: “Con nuovo reato intercettazioni possibili. La norma che vieta i rave stabilisce sanzioni anche per i partecipanti, nei confronti dei quali la pena è ‘diminuita’. Ciò vuol dire che il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione che può arrivare fino ad un terzo della pena edittale che nei confronti degli organizzatori può andare dai tre ai sei anni. Non comprendo, quindi, perché il premier Meloni abbia voluto rivendicare di non avere dato il via libera alle intercettazioni dal momento che questo reato prevede pene superiori ai cinque anni”.