Firenze, messa per la pace in Ucraina: l’omelia di Betori
FIRENZE – L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, ha celebrato oggi, 10 marzo 2023, la messa per la pace in Ucraina, un anno dopo l’attacco della Russia. Riportiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal cardinale Betori:
Un anno fa, anche quel giorno venerdì della II settimana di
Quaresima, venimmo chiamati a un momento preghiera per invocare la
pace in Ucraina e pregare per le vittime della guerra e della pandemia.
Presiedette quella celebrazione eucaristica, nella Basilica della Santissima
Annunziata, il nostro Vicario generale, mons. Giancarlo Corti, essendo io
isolato in casa a causa del Covid-19. Egli lesse l’omelia che avevo
preparato per l’occasione.
Ne riprendo i contenuti, con i dovuti adattamenti, in questo ulteriore
appuntamento a cui il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa ha
nuovamente convocato tutte le Chiese del continente, che fa tappa
quest’oggi in Italia. Il rinnovato appello alla preghiera è segno di come il
dramma della guerra, a un anno di distanza, continui a insanguinare il suolo
europeo e invochi l’impegno di tutti per ribadire le ragioni della pace.
Il libro della Genesi ci ha proposto una pagina della storia della
salvezza in cui torna protagonista l’odio tra fratelli, quel sentimento di
divisione che aveva segnato l’inizio della storia dell’umanità con
l’uccisione di Abele da parte di Caino. Ora è Giuseppe a essere vittima
dell’odio dei suoi fratelli. Il dramma mostra come la presenza del male
nella forma dell’odio non si stacca dal mondo degli uomini.
Nella vicenda di Giuseppe la volontà di morte della maggioranza dei
fratelli, viene vinta grazie all’intervento compassionevole di uno di loro,
Ruben. Questo ci dice che, anche là dove si annida l’odio, possono farsi
spazio sentimenti e gesti di umanità. Per quanto sopraffatto dal male, nel
cuore dell’uomo resta sempre uno spazio alla libertà, tale da poter scegliere
il bene.
Su questa libertà esercitata in vista del bene si inserisce il disegno di
Dio, che farà della vendita di Giuseppe come schiavo, della sua condizione
di straniero in Egitto e infine della sua prigionia il percorso che lo condurrà
a diventare, al tempo della carestia, strumento di salvezza per l’Egitto e poi
anche per la propria famiglia, quella in cui quasi tutti i fratelli ne avrebbero
voluto la morte. Giuseppe diventerà per questo una profezia della vicenda
di Gesù, diventato Salvatore degli uomini proprio nel rifiuto del suo popolo
e nella condanna alla croce. Ne era consapevoli i nostri antichi, che vollero
le vicende di Giuseppe raffigurate nel secondo registro della volta del
nostro Battistero, a introdurre le storie di Cristo e del Battista.
L’esercizio della libertà in vista del bene e la fede in un Dio che
guida la storia anche tra le contraddizioni degli uomini, anche tra i cristiani,
costituiscono il duplice orizzonte che deve illuminare la nostra coscienza in
questi giorni. Dobbiamo pensare che il no alla guerra sia possibile, proprio
perché all’umanità è dato il dono della libertà con cui rifiutare il male e
scegliere il bene. Occorre però contribuire a creare le condizioni perché la
coscienza di tutti sia orientata a scoprire le ragioni del bene e come esse
siano più forti di ogni possibile affermazione di sé, persona o popolo.
Il no alla guerra come strumento di soluzione delle controversie tra le
nazioni si unisce poi alla concreta partecipazione alle sofferenze dei fratelli.
Come comunità religiosa non abbiamo il potere politico e tantomeno
militare di fermare una guerra, ma possiamo e dobbiamo richiamare ai
valori della pace e del diritto dei popoli a difendere la propria libertà e
identità. Possiamo e dobbiamo però fare appello alla conversione dei cuori.
E questo chiediamo qui al Signore. Le preghiere sono più potenti delle
bombe, affermava Giorgio La Pira. Anche noi lo crediamo e per questo la
nostra speranza resta viva.
Frutto di questa fede e di questa speranza è la carità, la compassione,
la solidarietà, atteggiamenti e gesti che contrastano la folle logica delle
armi e della disumanità. Siamo stati e siamo testimoni, in questi mesi, della
natura diabolica della violenza, ma anche del volto di Dio che è
Misericordia, sorgente di salvezza dell’umanità. Ho in mente tante
immagini di storie di generosità, gesti di altruismo e di accoglienza, di
lacrime e sorrisi, che alimentano concretamente la speranza del bene che
sempre prevale. Lo è verso le vittime della guerra in Ucraina. Questo
dobbiamo pensare anche di fronte alle altre tragedie che si abbattono sui
popoli. Parlando di morte non possiamo dimenticare la tragedia del
terremoto in Turchia e Siria, come pure le ricorrenti stragi di poveri esseri
umani, spesso piccoli fanciulli, che sono l’esito della mancata assunzione
di responsabilità delle nazioni di fronte al fenomeno migratorio, spesso
connesso anch’esso a scenari di guerra, come da ultimo nel naufragio a
Cutro.
Non possiamo tacere di fronte alla disumanità della guerra e alla
disumanità delle tante tragedie in cui la vita umana viene violata, non
adeguatamente protetta, non accolta.
A queste prospettive di denuncia del male, di difesa della libertà, di
conversione dei cuori, di cura dei fratelli, di attenzione alla dignità della
persona, la pagina del vangelo aggiunge ulteriori motivi di lettura della
storia. In essa si mostra anzitutto l’opera di Dio, pieno di tenerezza verso la
sua vigna, il suo popolo, che il suo amore vorrebbe abbracciasse l’umanità
tutta. La volontà di dominio e di possesso da parte di coloro a cui è affidata
la vigna, ai responsabili della convivenza umana, giunge secondo la
parabola evangelica fino al sangue, alla violenza e alla morte contro chi
parla a nome di Dio e della sua verità sull’uomo, giunge fino all’uccisione
del Figlio di Dio. Ma alla logica umana che chiederebbe lo sterminio di chi
gli ha ucciso il Figlio, Dio Padre risponde con l’amore, trasformando quel
Figlio che è stato rifiutato nella «pietra d’angolo» (Mt 21,42), la chiave di
volta, il principio di comunione di un’umanità nuova, redenta dal suo
sacrificio.
L’amore di Dio, l’amore di Gesù, l’amore nostro è il motore che
muove il mondo e dà senso anche alla sofferenza, alla croce. È lo sguardo
che ci viene chiesto di assumere di fronte alle vittime della guerra, come
pure a tutte le vittime del male. La fede ci nutre di speranza nella prova e ci
chiede di vivere come fratelli per affermare il bene.