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Magistrati: Davigo condannato a un anno e tre mesi per rivelazione del segreto d’ufficio

BRESCIA – Pier Camillo Davigo, ex componente del Consiglio superiore della magistratura, è stato condannato dal tribunale di Brescia a un anno e 3 mesi mesi di reclusione con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio in merito ai verbali di Piero Amara, su una presunta Loggia Ungheria.

Verbali che in pieno lockdown il pm milanese Paolo Storari gli aveva consegnato per autotutelarsi, a suo dire, di un freno messo alle indagini dai vertici del suo ufficio. La sentenza è stata letta dal presidente della prima sezione penale Roberto Spanó. In aula era presente anche il procuratore capo di Brescia Francesco Prete. Assente, invece, Davigo.

I giudici, nel condannare Davigo, gli hanno riconosciuto le attenuanti generiche e concesso la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziario. Durante il processo, cominciato il 20 aprile dell’anno scorso, sono stati citati come testimoni, non solo l’ex vicepresidente del Csm David Ermini, e una serie di consiglieri di allora, ma anche alcune delle toghe allora di primo piano come il pg della cassazione Giovanni Salvi e l’ex procuratore di Milano Francesco Greco. Oltre al pm milanese Paolo Storari, che invece è stato assolto definitivamente dalla vicenda. I giudici, che depositeranno le motivazioni in 30 giorni, hanno stabilito un risarcimento di 20 mila euro per Sebastiano Ardita pure lui ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura e parte civile nel processo.

A rinviare a giudizio Davigo era stato il gup bresciano Federica Brugnara ritenendo fosse necessario il vaglio di un collegio per stabilire se – come hanno ipotizzato i pm Donato Greco e Francesco Milanese, con il procuratore Francesco Prete che in aula hanno chiesto la condanna a un anno e 4 mesi di carcere – Davigo era persona autorizzata a ricevere e quei verbali così delicati e coperti dal segreto istruttorio e se abbia commesso un reato divulgando il loro contenuto ai suoi colleghi e all’allora presidente della commissione antimafia Nicola Morra.

Infatti, come recita il capo di imputazione, Davigo, dopo aver ricevuto dal pubblico ministero quegli atti, “violando i doveri” legati alle sue funzioni e “abusando delle sue qualità” avrebbe diffuso ad altri componenti di Palazzo dei Marescialli e a Morra in modo “informale e senza alcuna ragione ufficiale”.

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