Strage dei Georgofili, il verbale di Messina Denaro: “L’obiettivo era lo Stato, non le persone. Agì gente che non vale niente”
Ai magistrati di Palermo, che lo interrogarono dopo la cattura, e prima della fase terminale della sua vita, nel carcere e nell’ospedale dell’Aquila, Matteo Messina Denaro aveva parlato anche della strage, avvenuta nella notte fra il 26 e il 27 maggio del 1993 a Firenze. Dove, oltre ai danni alla Galleria degli Uffizi, morirono, nella Torre dei Georgofili, cinque persone: la famiglia Nencioni – babbo, mamma e le bambine, Nadia e Caterina – e lo studente Dario Capolicchio.
I magistrati verbalizzarono queste parole: “Tengo in chiaro che io non so niente di Firenze, io non so niente, anche perché non c’è mai stata, in una mia condanna, nessun riscontro oggettivo. Quello di Firenze, qualora fosse vero, non è che si volevano uccidere persone, anche perché ci sono collaboratori che dicono che la finalità non era uccidere delle persone”.
“Solo – continua il verbale del Boss – che il problema è stato, secondo me, che sono andati con la ruspa: cioè hanno ucciso la mosca con le cannonate. Perché si sa che se si mettono bombe, possono cadere degli innocenti”.
Nell’interrogatorio, reso al gip nei mesi scorsi, e ora depositato senza omissis, Matteo Messina Denaro dava la propria versione della strage dei Georgofili, precisando, come suo costume, di essere comunque estraneo ai fatti.
Sempre continuando a negare di aver avuto un ruolo nella bomba di Firenze, il capomafia aggiungeva: “La finalità era prendersela con lo Stato, con i beni dello Stato”.
E ancora: “Non è stato secondo me un errore, è stato menefreghismo, che è peggio: perché l’errore può essere perdonato. Ma se io capisco e intuisco che là succedeva una strage, ecco che una bomba là non sarebbe mai stata messa. Il problema è che hanno usato gente che non vale niente”.