Indi: rifiutato dai giudici inglesi l’appello dei genitori. Lunedì il distacco delle macchine
LONDRA – Lunedì 13 novembre 2023, tranne un miracolo dell’ultimo minuto, saranno staccate le macchine che tengono in vita Indi Gregory. I giudici inglesi hanno rifiutato l’appello dei genitori. La notizia devastante arriva da Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, e dall’avvocato Simone Pillon, che stanno seguendo gli sviluppi del lato italiano della vicenda in contatto con i legali inglesi e la famiglia della piccola.
I legali della famiglia Gregory fanno sapere che, dopo la pronuncia di oggi, si lavora ad altri percorsi, che valuteranno da qui fino a lunedì, data fissata dal giudice inglese per il distacco delle macchine che tengono in vita la piccola.
Il governo italiano si era appellato alla Gran Bretagna per il trasferimento di Indi Gregory in Italia in nome della Convenzione dell’Aia del 1996. La premier, Giorgia Meloni, ha scritto una lettera al Lord cancelliere e segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito “al fine di sensibilizzare le autorità giudiziarie” inglesi per rendere possibile alla bimba “accedere al protocollo sanitario di un ospedale pediatrico italiano”.
La lettera era mirata a sbloccare la situazione “in tempo utile perché Indi possa accedere a questa possibilità nello spirito di collaborazione che da sempre contraddistingue i due Paesi”.
Nella sua lettera, Meloni fa riferimento all’articolo 32 della Convenzione dell’Aia sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.
“Su richiesta motivata dell’Autorità centrale o di un’altra autorità competente di uno Stato contraente col quale il minore abbia uno stretto legame – si legge nella disposizione -, l’Autorità centrale dello Stato contraente in cui il minore ha la sua residenza abituale e in cui si trova può, o direttamente o tramite autorità pubbliche o altri enti: a) fornire un rapporto sulla situazione del minore; b) chiedere all’autorità competente del suo Stato di esaminare l’opportunità di adottare misure volte alla protezione della persona o dei beni del minore”.
Il giudice inglese Peter Jackson ha definito l’intervento italiano per il caso di Indi Gregory ai sensi della Convenzione dell’Aia, “non nello spirito della Convenzione”. I giudici hanno inoltre affermato che i tribunali inglesi sono nella posizione migliore per valutare “l’interesse superiore” della bambina, quindi non è necessario un tribunale italiano.
Sempre oggi, mentre la madre della piccola, Claire Staniforth, restava con la figlia all’ospedale di Nottingham, il padre, Dean Gregory, si rivolgeva direttamente ai media italiani per lanciare i suoi appelli.
“Pensiamo che sia nel miglior interesse di Indi venire in Italia per ricevere le cure che potrebbero aiutarla a respirare, aprendo una valvola attraverso l’impianto di uno stent, per poi poterci concentrare sulla sua malattia mitocondriale che può essere trattata con queste terapie. Sappiamo che Indi è una combattente, lei vuole vivere, e non merita di morire”, ha dichiarato il genitore.
Non solo la famiglia contesta la prognosi dei medici inglesi ,ma non si fida dell’ospedale di Nottingham, già finito al centro di uno scandalo proprio per le gravi negligenze avvenute nel reparto maternità.
All’inizio dell’anno i genitori di una neonata, Wynter Sophia Andrews, morta il 15 settembre 2019, 23 minuti dopo essere venuta al mondo con un taglio cesareo d’urgenza, hanno ricevuto da un tribunale del Regno un indennizzo record di 800 mila sterline per la serie sistematica di errori commessi nella cura della madre e della piccola da parte di medici e infermieri.
Caso che ha poi portato in settembre all’avvio di una indagine da parte della Nottinghamshire Police dopo le segnalazioni di centinaia di famiglie: si sono fatte avanti sollevando preoccupazioni rispetto alla scarsa qualità e alla sicurezza del reparto di maternità del Queen’s Medical Centre e degli altri ospedali universitari della città inglese riuniti nella stessa azienda sanitaria.
Uno dei tanti scandali avvenuti di recente nel sistema sanitario britannico (Nhs) segnato da problemi strutturali cronici e da una preoccupante carenza di personale.