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Elezioni, exit poll: Fratelli d’Italia tra 26 e 30%, Pd tra 21 e 25%. Firenze: Funaro (40-44%) davanti a Schmidt (32-36%)

Elly Schlein e Giorgia Meloni (Foto d’archivio)

ROMA – Non ci sarebbero terremoti, con la pubblicazione degli exit poll. Giorgia Meloni, che aveva collocato l’asticella al 26% – come alle politiche del 2022 – confermare Fdi primo partito con una forchetta – fornita dagli exit poll Opinio Italia per la Rai – tra il 26 e il 30% (tra il 27 e il 31 secondo Swg per La7). Cresce il Pd targato Schlein, che questa volta corre in solitaria senza Calenda e Renzi (più voti e più seggi per lei) guadagnando tra i 2 e i 6 punti rispetto alle ultime politiche (il range per lei è tra il 21 e il 25%). E finirebbe in sostanziale parità, ma con possibile “remuntada” azzurra, il derby di maggioranza tra Antonio Tajani (Forza Italia) e Matteo Salvini (Lega): gli exit poll vedono Fi tra l’8.5 e il 10.5% e la Lega tra l’8 e il 10%.

Per quanto riguarda Firenze, è quasi certo il ballottaggio: secondo l’instant poll SWG per La7, Funaro è data in testa, con 40-44%; segue Schmidt 32,5-36,5%, Stefania Saccardi, di Italia viva, tra l’8,5-12,5%. Più o meno sullo stesso livello (ma con qualche punto in meno) Cecilia Del Re.

Da valutare poi l’impatto dell’all in giocato da Salvini su Vannacci (valutato dall’inizio due punti percentuali nel computo finale e forse ancora più pesante nelle urne). Sotto le aspettative, nonostante una capillare campagna elettorale e un deciso schieramento sul fronte pacifista – che con due guerre in corso aiuta a decidere chi sta con chi – il Movimento 5 stelle che scende dal 15.43% delle politiche 2022 (17.06 alle europee) ad una percentuale compresa tra il 10 e il 14%.

Avs, con il jolly Salis supera agilmente la soglia di sbarramento con una forchetta di voti tra il 5 e il 7%, mentre l’altro derby, quello tra Calenda e Renzi (insieme alle politiche avevano ottenuto un rispettabile 7.8%) vede i due a rischio esclusione con l’ex premier – con la lista Stati Uniti d’Europa – tra il 3.5 e il 5.5% e Azione tra il 3 e il 5%. Salta agli occhi, ancora una volta, il dato sull’astensionismo che segna un nuovo record negativo.

Secondo le ultime rilevazioni disponibili un italiano su due, anzi, meno, si è recato alle urne contro il 54,5% del 2019 e il 57,22% delle europee 2014. In attesa dei risultati finali, interessante sarà capire quanto le forchette dei vari partiti si andranno a toccare. Tra Schlein e Meloni, ad esempio il range alto della democrat (25%) sfiora quello basso della premier (26%). Le forze politiche principali, i cui leader si sono spesi direttamente anche candidandosi, vedono nel voto per l’Europarlamento il primo importante test dopo le ultime elezioni nazionali.

Per Fratelli d’Italia, traino della maggioranza, l’importante è tenere e dunque non scendere al di sotto del risultato del 2022 e dai primi exit poll la missione sembra essere compiuta. Poi, ogni punto percentuale in più conta come oro per sostenere la futura azione di governo e la battaglia cruciale sulle riforme. Ai fini della governabilità, FdI, oltre che guardarsi allo specchio, presta molta attenzione al risultato complessivo della coalizione: se alla fine la somma degli addendi sarà più o meno invariata, sarà considerato un disco verde.

Diversa la situazione di Lega e FI, che, vicinissimi alle politiche, ora si contendono il secondo posto nella maggioranza. In ballo, salvo stacchi sostanziosi, non ci sarebbero rimpasti veri e propri, ma un peso maggiore nell’azione di governo. Al netto delle dichiarazioni di Antonio Tajani (sempre conciliante con gli alleati), portare FI a diventare il secondo partito della coalizione sarebbe considerata una grande vittoria anche della sua leadership.

Di contro, per Matteo Salvini (che, in ogni caso, ha preannunciato il congresso leghista entro l’anno) retrocedere sarebbe un problema, soprattutto se, nonostante la carta Vannacci, si andasse sotto il risultato delle politiche. Nell’opposizione, la gara non è meno agguerrita: tra Pd e M5s che si contendono i voti e la guida dell’area progressista; e tra Stati Uniti d’Europa e Azione che si sfidano sul terreno centrista. Giuseppe Conte, tra i pochi insieme a Salvini a non essersi candidato personalmente, punta in particolare sui favori del Movimento 5 stelle al Sud, con la grande incognita dell’astensionismo. E’ stato proprio lo spettro del non voto il grande timore per l’ex premier, e le preoccupazioni sono state confermate dai dati sull’affluenza.


Sandro Bennucci

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