Ventisette anni fa moriva Lady Diana: resta la sua icona
Sembra non finire mai il dolore e l’impatto emotivo per la morte della principessa Diana. Nel 27esimo anniversario della sua scomparsa è il fratello minore, Charles Spencer, a ricordarla in un post su Instagram: un’immagine senza commento, con fotografie e ritagli di giornale dedicati a Diana da bambina. E’ bastato per riproporre rievocazioni, ricostruzioni e gallerie di foto che celebrano la vita e lo stile della ‘principessa triste’, morta in un’incidente d’auto nel sottopassaggio del ponte dell’Alma a Parigi nella notte fra il 30 e il 31 agosto del 1997 insieme con Dodi al-Fayed.
Un’icona appena sbiadita dall’oblio, ma non dimenticata; anzi, canonizzata post mortem nella memoria di schiere di ammiratori, dopo esser stata in vita segno di contraddizione quasi letale per la monarchia britannica. Personalmente, ne ho un’immagine nitida: era aprile del 1985. Diana venne a Firenze con Carlo: la città ai loro piedi. Pranzi e cene studiate nei dettagli. Firme d’onore.
La incrociai in via Bolognese, davanti alla dimora di Harold Acton. Due parole pronunciate per me, cronista de La Nazione: “Ringrazio Firenze, è stata una giornata emozionante. Ora andiamo a cena, mi dicono ci sia la pasta”. Frase per la cronaca, non per i posteri. Guardò cosa stavo scrivendo: difficile leggere i miei geroglifici vergati a mano. Pensava scrivessi in inglese. Mi rifugiai in un “sorry”. Non ho mai dimenticato quei momenti. Che mi tornarono alla mente, in redazione, il 31 agosto 1997, di fronte alle interminabili notizie d’agenzia della tragedia nel tunnel parigino dell’Alma.
Il Regno Unito e il mondo ricordano dietro un velo di nostalgia, e di emozioni placate dal tempo, Lady D, Diana Spencer. L’incidente mise fine, a Parigi, nello sbigottimento di miliardi di spettatori, a una breve quanto turbinosa esistenza: quella della ‘principessa del popolo’, stella spentasi a 36 anni al culmine di una tragica fuga dai paparazzi.
Diana resta una delle donne più famose al mondo. E per il mondo resta congelata a quell’età, a quella bellezza, a quelle vicende. I suoi due figli sono cresciuti senza di lei, ma la sua memoria continua a far parte della storia di William e Harry, anche la più recente, con il secondogenito che negli ultimi anni non ha mancato di puntare il dito contro i media e la loro ossessione verso Lady D.
Media che adesso lui sfida con tutte le sue forze, a suon di denunce e battaglie legali per condannare le violazioni della privacy verso la sua giovane famiglia, a partire dall’intrusione morbosa nella vita della moglie americana, Meghan Markle.
Consorte infelice del principe Carlo, oggi re insieme all’amante di allora, Camilla, Diana chiuse in quella notte di fine estate i conti con un destino scintillante eppure triste. Un destino che – bella, timida e sorridente – l’aveva proiettata agli onori delle cronache appena ventenne, sull’onda del matrimonio da fiaba del 1981 con il principe di Galles. Ma che – fra copertine glamour e tormenti sotterranei, popolarità globale e depressione nascosta – sarebbe sfociata troppo presto nell’epilogo fatale.
Dopo la nascita del primogenito William, secondo nella linea di successione del casato, e del cadetto Harry, suo quasi clone ribelle; la denuncia pubblica dagli schermi della Bbc (senza precedenti in casa Windsor) del tradimento di Carlo con Camilla Parker Bowles; l’ammissione delle proprie stesse infedeltà; e infine il devastante annuncio del divorzio reale del secolo, punito da Elisabetta II con un’umiliante revoca dei titoli.
Ne sarebbe derivata una bufera tale da scuotere l’istituzione monarchica come mai prima. Terremoto destinato a toccare il clou proprio con i contraccolpi della folle corsa di Parigi. Furono le settimane in cui la corona, e persino lo straordinario consenso verso Elisabetta II, parvero traballare paurosamente sotto il segno di un distacco dal comune sentire popolare e di una freddezza imputata da tanti alla matriarca: riconosciuti a posteriori alla stregua di “errori” gravi da storici di corte come Ed Owens.
Crisi che la regina, consigliata controvoglia dall’allora premier Tony Blair, seppe peraltro far rientrare con un bagno di umiltà ai margini del colossale funerale di popolo accordato a Londra alla principessa degradata. Tanto che oggi, il ricordo di colei che da defunta i tabloid non esitarono a proclamare “regina di cuori” della gente comune, può dirsi improntato a un’atmosfera largamente pacificata e condivisa.
Un clima ben rappresentato dalla statua che i figli William e Harry hanno voluto far innalzare nel cuore di Kensington Garden e offrire all’omaggio collettivo fin dal luglio 2021: nel giorno nel quale Diana Spencer – figlia dell’alta aristocrazia inglese capace di suggerire sentimenti istintivi di empatia a vasti strati popolari con i suoi gesti e le sue fragilità, le campagne contro le mine e gli abbracci ai malati d’Aids, l’immagine glamour da giovane donna privilegiata unita al rifiuto di convenzioni e ipocrisie – avrebbe dovuto compiere 63 anni. Se fosse vissuta.