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Hacker arrestato: aveva password di 46 magistrati inquirenti. Anche dei procuratori di Firenze e Perugia

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Hacker in azione

NAPOLI – Bucati i server del Ministero della Giustizia. Era in possesso, tra Firenze, Perugia e Torino, di ben 46 password di altrettanti magistrati inquirenti, l’hacker siciliano 24enne Carmelo Miano arrestato tra l’altro con l’accusa di avere violato, appunto, i server del Ministero della Giustizia. La circostanza emerge dagli approfondimenti investigativi eseguiti dalla Procura di Napoli sulle informazioni acquisite e analizzate dagli inquirenti nell’ambito dell’indagine sulle incursioni dell’hacker.

Dagli accertamenti della polizia giudiziaria coordinati dai pm del pool cybercrime di Napoli è emerso che, grazie alle sue abilità, era riuscito a copiare sui suoi dispositivi personali l’intero data-base utenti del Ministero, dal quale ha poi estrapolato le password di 46 magistrati inquirenti di stanza tra Firenze, Perugia e Torino, tra cui anche quelle dei procuratori di Firenze e Perugia.

Una notizia che ha “incuriosito e inquietato” il procuratore della Repubblica del capoluogo umbro, Raffaele Cantone, che sta tra l’altro coordinando l’indagine sugli accessi abusivi alle banche dati in uso alla Direzione nazionale antimafia da parte di Pasquale Striano e nella quale è indagato, oltre all’ufficiale della Gdf, anche l’ex magistrato Antonio Laudati.

La Procura di Napoli, nel corso dell’udienza durata poco meno di un paio d’ore davanti ai giudici del Riesame, ha depositato una memoria con la quale esprime parere contrario all’attenuazione della misura cautelare del carcere con quella dei domiciliari e al trasferimento degli atti d’indagine presso la Procura di Perugia, per competenza. Entrambe le istanze – che vedono assolutamente contrari i sostituti procuratori Claudio Orario Onorati e Mariasofia Cozza, sempre più convinti della pericolosità dell’hacker – sono state illustrate dall’avvocato Gioacchino Genchi, legale del giovanissimo ingegnere informatico, in una memoria di 33 pagine.

Rispondendo alle domande dei giornalisti al termine dell’udienza, l’avvocato Genchi, pur riconoscendo le abilità del suo assistito, ha puntato il dito contro le debolezze dei sistemi di sicurezza a guardia dei dati del ministero: una situazione “inquietante”, sostiene, adombrando anche l’eventualità che le porte del sistema informatico lasciate aperte da Miano possano ora favorire altre incursioni “molto più gravi e preoccupanti di quelle che ha commesso il mio assistito”.

Miano aveva a disposizione, ha detto Genchi, tutte le caselle mail usate per trasmettere le notizie di reato, gli ordini di fermo, le misure cautelari e i decreti di intercettazione di tutte le procure e le Dda d’Italia”. Per Genchi, in sostanza, “se Miano fosse stato un criminale avrebbe potuto mandare veramente in tilt il sistema Giustizia italiano. Ma non l’ha fatto: gli unici dati che ha visto sono quelli che lo riguardano, ossessionato e preoccupato com’era delle indagini sul suo conto”.

Una ricostruzione dei fatti su cui però non è d’accordo la Procura partenopea per la quale l’obiettivo di Miano era acquisire dati sensibili da vendere, ritenendo possibile l’eventualità che l’hacker 24enne abbia potuto rispondere alle sollecitazioni di qualche committente.

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