Mattarella riceve Fitto: “Il suo ruolo in Europa è importante per l’Italia”. Ma a Bruxelles le nomine travolgono Ursula. Ora tocca ai leader
ROMA – “E’ importante per l’Italia il ruolo di Raffaele Fitto come commissario e vicepresidente esecutivo della Commissione europea è importante per l’Italia”. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto mandare, dentro i nostri confini ma soprattutto all’Europa, un messaggio chiaro nel momento di stallo che da Bruxelles sta producendo tensioni a Roma fra centrodestra e Pd.
Un invito, quello di Raffaele Fitto al Quirinale, tutt’altro che casuale. Come quello del 16 settembre, nelle ore più calde della trattativa per la composizione della squadra di Ursula von der Leyen. Due mesi dopo, il processo di conferma dei suoi commissari è terremotato dai veti incrociati tra Popolari e Socialisti, una dinamica che sta generando uno scontro aperto fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein.
È passata mezz’ora dalla nota sull’incontro al Quirinale quando la premier sale sul palco del comizio del centrodestra a Perugia, e attacca la segretaria dem perché “il Pse, del quale il Pd è il gruppo di maggioranza relativa, ha dato mandato alla capogruppo di trattare con von der Leyen il fatto che Fitto non sia vicepresidente della commissione”.
Meloni chiede a Schlein “di dire quale sia la posizione ufficiale del Pd”, di rispondere “non a me ma ai cittadini italiani: le persone serie fanno così”. Per la leader di FdI è “inaccettabile” ostacolare la soluzione di “un commissario con un portafoglio da mille miliardi, e una vicepresidenza della commissione, che significa coordinare diverse e importanti materie per l’Italia”.
“La prima domanda – replicano dal Pd – Meloni dovrebbe farla al suo vicepremier Salvini che non voterà la commissione e il commissario Fitto”. E da un’altra piazza del capoluogo umbro arriva anche la risposta di Schlein, che butta la palla in tribuna: “Non sono io a dover rispondere ma lei ai cittadini dei tagli alla sanità e alla scuola”.
Mentre nelle ultime ore si è mosso per fare pressione sul via libera a Fitto una costellazione di sigle del settore produttivo: da Confindustria a Confcommercio, da Confcooperative a Confartigianato, passando per la Cisl. Una serie di dichiarazioni con inviti ad andare “oltre i particolarismi”, a “superare le polemiche per interesse dell’Italia” e a chiudere senza intoppi la definizione della Commissione. Uno sforzo da più fronti, culminato con l’incontro fra il ministro e il presidente della Repubblica. Ora sarà ancor più difficile liquidare Fitto come un fascista o ultraconservatore, il ragionamento che si fa fra i meloniani. Di certo il messaggio del Colle è che Fitto non è semplicemente il candidato del governo ma a Bruxelles rappresenterà l’intero Paese. Una mossa, viene sottolineato, che il capo dello Stato ha maturato nell’interesse nazionale, anche per respingere al mittente le insinuazioni di chi, dopo la secca replica a Elon Musk, ha parlato di lui come se fosse il capo dell’opposizione.
BRUXELLES – Data da cerchiare in rosso: 20 novembre. Obiettivo prioritario: arrivarci con Ursula von der Leyen ancora in sella. La clamorosa rottura sulle nomine Ue ha travolto la Commissione, facendo precipitare il timing per l’incoronazione del nuovo esecutivo comunitario in una nube di profonda incertezza. Con il passare delle ore i duellanti, popolari e socialisti, non sono sembrati fare passi indietro e l’impressione è che, prima della prossima settimana, le cose non cambino.
A smuovere le acque, a questo punto, potrebbe essere innanzitutto un’iniziativa dei principali leader Ue: da Pedro Sanchez a Emmanuel Macron, fino a Giorgia Meloni e Olaf Scholz. Chiamati ad un’intesa politica per una decisa moral suasion sui gruppi al Parlamento. Gruppi che appaiono incapaci di ricucire.
Arrivare in queste condizioni a mercoledì prossimo – quando all’Eurocamera si riunirà la conferenza dei presidenti mentre a Madrid Teresa Ribera riferirà al suo di Parlamento sulle alluvioni di Valencia – appare arduo. Se a Roma per Raffaele Fitto si è mosso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Bruxelles il problema non è tanto nel candidato italiano. E’ nella spagnola Ribera, e nei popolari che finora hanno seguito la delegazione iberica nel suo attacco a tutto campo contro la fedelissima di Sanchez.
Fitto, nelle votazioni della commissione competente, avrebbe i numeri per passare al terzo scrutinio, quello segreto a maggioranza semplice: passerebbe senza il sì dei socialisti e con l’appoggio dell’estrema destra, ma passerebbe. Ribera, senza il sì del Ppe, non ha invece una maggioranza possibile. E tra i socialisti su un punto non hanno dubbi: “Se salta Ribera, salta Ursula”.
A tutto ciò va aggiunto il caso di Oliver Varhelyi, il candidato ungherese che S&D e Renew vorrebbero depauperato di alcune deleghe e che è ancora in attesa del responso del Pe alla sua audizione. Nel frattempo la maggioranza Ursula continua a spaccarsi in Aula. Lo ha fatto in occasione del voto sul rinvio delle misure sulla deforestazione, dove gli emendamenti del Ppe e il testo finale sono passati con il ‘no’ dei socialisti e grazie alla maggioranza Venezuela (popolari, Patrioti, ultradestra di Afd) e ad una buona fetta di Renew, che ha ottenuto l’accoglimento delle proprie proposte.
Il voto ha ulteriormente avvelenato il clima. La presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola poco prima aveva provato a fare da pompiere, ricordando come per la formazione della nuova Commissione – il voto in Plenaria è il 27 novembre – “c’è ancora tempo” e “l’Aula prende molto seriamente questa sua responsabilità”.
Von der Leyen appare impietrita nel suo silenzio. Ma, spiegano fonti parlamentari, solo prendendo l’iniziativa potrebbe tentare di sciogliere l’impasse. Magari con una dichiarazione nella quale metta nero su bianco che la Commissione si muoverà nell’alveo della maggioranza fatta da socialisti, popolari e liberali.
Si dovrà muovere Ursula, si stanno già muovendo i leader. Indiscrezioni parlamentari fanno riferimento ad una videocall di mercoledì sera – interlocutoria e dai toni non serenissimi – tra Sanchez, Scholz, Manfred Weber e Macron. A Monaco di Baviera, domani, ad incontrarsi saranno Antonio Tajani e lo stesso Weber. Il pressing sul leader del Ppe per abbandonare a sè stessa l’offensiva del Partido Popular potrebbe crescere. Restare fermi sulle proprie posizioni potrebbe costar caro.