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La caduta di Damasco, il capo dei ribelli: “Il futuro è nostro”. Ma rassicura stranieri e cristiani. Il Premier resta in carica

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Al Jolani, nome vero Ahmad Sharaa, in un fermo immagine della Cnn

A Damasco liberata è entrato oggi, 8 dicembre 2024, da trionfatore, il leader dei jihadisti sostenuti dalla Turchia, Abu Muhammad al Jolani, che ha già chiesto espressamente di non esser più chiamato col nome di battaglia ma con quello originario, Ahmad Sharaa. Nel suo primo discorso pubblico nella capitale, pronunciato nella Grande Moschea degli Omayyadi, dove per secoli sovrani e conquistatori hanno parlato alle masse appena sottomesse, il ‘condottiero generale’ (al Qaid al Amm) ha però fatto un discorso più panislamico che pansiriano, togliendo ogni dubbio sulla matrice islamista del suo profilo e del suo progetto di governo.

“Il dittatore è caduto – ha detto – e questa è una vittoria per tutta la nazione islamica. E’ un trionfo che segna un nuovo capitolo nella storia della regione, il futuro è nostro”. Le parole di Jolani sono rimbombate tra le antiche arcate della Grande Moschea mentre Israele si annetteva, nel silenzio della comunità internazionale, un’altra fetta di territorio mediorientale: il versante orientale del Jabal Shaykh (Monte Hermon), parte di quelle Alture del Golan occupate nel 1967 e mai restituite a Damasco.

La Siria è stata “un parco giochi per le ambizioni iraniane”, ha aggiunto Jolani, a conferma del fatto che il nuovo equilibrio di potere sembra mettere ai margini non solo l’influenza russa ma anche quella iraniana. E mentre Mosca ha chiesto la convocazione urgente di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, il Cremlino ha fatto sapere di aver raggiunto un accordo con gli insorti perché non prendano d’assalto le diverse basi militari russe nella Siria centro-occidentale, in particolare quella navale a Tartus e quella aerea di Hmeimim.

Sul terreno, mentre i festeggiamenti erano in corso in diverse città siriane, incluse quelle della zona costiera, vicina alla roccaforte di montagna dei clan alawiti da decenni associati agli Assad, sono scoppiati intensi scontri tra fazioni armate filo-turche e loro rivali dell’ala locale del Pkk nell’enclave di Manbij, a nord-est di Aleppo e da anni controllate dalle forze curdo-siriane. Queste sono state costrette a ritirarsi verso est e probabilmente dovranno ripiegare, come già successo per altre milizie curde, oltre il fiume Eufrate.

In quest’area mista araba e curda con epicentro Raqqa, ex capitale dell’Isis, oggi si sono verificate tensioni tra i clan arabi, che stanno aderendo alla mobilitazione innescata dai jihadisti filo-turchi, e le forze curde sostenute sul terreno dagli Stati Uniti. Sul piano interno, il premier siriano Muhammad Jalali, in carica dal settembre scorso, si è offerto come premier di continuità in un momento in cui lo Stato e le istituzioni siriane, distinte dal sistema di potere incarnato dagli Assad, hanno bisogno di rimanere in piedi e al servizio di una popolazione in larga parte festante ma allo stesso tempo stremata per una guerra in corso da 14 anni e una crisi economica dilagante.

Le milizie di insorti, tra cui figurano anime molto diverse fra loro, competono ora per la gestione della sicurezza nella capitale. Gli abitanti di Damasco hanno passato in piedi una notte di attesa per le notizie frenetiche che venivano dalla sera dai fronti nord di Homs e da quello sud di Daraa, Qunaytra e Suwayda. Alle 4 del mattino locali (le 2 in Italia), le prime avanguardie di insorti dalle regioni meridionali, al confine con la Giordania, sono entrate in città scortate da un fiume di manifestanti pacifici in delirio, mobilitatisi in maniera spontanea dalle periferie cittadine, le stesse che si erano rivoltate nel 2011 con lo scoppio delle allora massicce proteste popolari anti-governative.

Col passare delle ore, e mentre gli insorti aprivano le famigerate prigioni e camere di tortura del regime, lasciando che dal sottosuolo riemergessero, alcuni dopo 40 anni, detenuti politici creduti ormai morti, si è diffusa in città la paura per saccheggi, che in realtà non si sono verificati se non in forma sporadica. Con l’arrivo di Jolani a Damasco è stato imposto il coprifuoco. L’8 dicembre si aggiunge al calendario delle feste della nazione.

PREMIER – Il premier siriano, Muhammad al-Jalali, mantiene per ora il suo incarico alla guida del governo a Damasco. Lo riferiscono media siriani e fonti delle fazioni armate che hanno per ora il controllo della capitale, smentendo le notizie di aver messo Jalali in stato di fermo. “Il premier si appresta a mantenere il suo incarico e a proseguire il suo mandato al servizio del paese”, affermano le fonti.

Il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, al quale le milizie ribelli vincitrici hanno riconosciuto un ruolo di garanzia fino al ricambio ufficiale del potere, ha detto in un’intervista con l’emittente Al Arabiya che la Siria dovrebbe ora tenere “libere elezioni affinché il popolo possa scegliere chi debba guidarli”. Al-Jalali aveva già detto di avere contattato il comandante dei ribelli, Abu Mohammed al-Jolani, con il quale ha detto di essersi accordato sulla transizione.

AMBASCIATA ITALIANA – Un gruppo di miliziani fra quelli presenti da ieri notte a Damasco è entrato nella residenza dell’ambasciatore d’Italia dove ha effettuato una sorta di perlustrazione. Lo rende noto la Farnesina sottolineando che l’ambasciatore e il resto del personale italiano sono in un altro luogo sicuro.

La Farnesina sta gestendo la situazione con contatti con i paesi alleati per garantire la sicurezza del personale e la protezione delle sue sedi diplomatiche. I miliziani starebbero effettuando perquisizioni anche nelle ambasciate e negli uffici delle Ong internazionali presumibilmente per verificare la presenza di dirigenti del regime in fuga.

CARCERATI – I ribelli siriani hanno annunciato di aver rilasciato tutti coloro che sono stati “ingiustamente detenuti” sotto il presidente Bashar al-Assad. In precedenza i ribelli avevano reso noto di aver fatto irruzione nel famigerato carcere militare di Damasco, annunciando su Telegram la “fine dell’era della tirannia nella prigione di Sednaya”.

CRISTIANI – “La strada è tutta in salita, chi ha promesso che tutti saranno rispettati, che si farà una nuova Siria. I ribelli hanno incontrato i vescovi ad Aleppo assicurando che rispetteranno le varie confessioni religiose e i cristiani, speriamo che mantengano questa promessa e che si vada verso una riconciliazione e che la Siria possa trovare anche un po’ di prosperità”. Lo dice a Vatican News, il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco che aggiunge: “L’augurio è che anche la comunità internazionale risponda, magari abolendo le sanzioni, perché sono un peso che grava molto soprattutto sulla povera gente. Voglio sperare che poco a poco vengano eliminate le sanzioni”.

KIEV – I dittatori che si appoggiano e scommettono su Vladimir Putin sono destinati a cadere”, come dimostra la caduta di Bashar al Assad in Siria: lo ha dichiarato il ministero degli Esteri dell’Ucraina.

“Assad è caduto. Così è come è sempre stato e sempre sarà per i dittatori che scommettono su Putin, Lui tradisce sempre quelli che fanno conto su di lui”, ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino, Andriy Sybiga sui social media, ribadendo il suo “sostengo al popolo siriano”.


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Sandro Bennucci

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