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Livorno, Moby Prince: via libera alla commissione d’inchiesta. Dopo 24 anni

Moby Prince, Loris Rispoli durante il suo intervento in Consiglio comunale (foto Facebook Luchino Chessa)
Moby Prince, Loris Rispoli parla in Consiglio comunale (foto Facebook Luchino Chessa)

LIVORNO – Ventiquattro anni fa, la sera del 10 aprile 1991, si consumava nella rada del porto di Livorno la più grave tragedia della marineria civile italiana: il rogo che avvolse completamente per cause e modalità mai chiarite fino in fondo il traghetto passeggeri Moby Prince della compagnia Navarma: 140 morti arsi vivi, un unico sopravvissuto e l’ingresso del caso fra i misteri d’Italia irrisolti. Dopo due processi e l’archiviazione della richiesta di un terzo procedimento non c’è infatti alcun colpevole dell’accaduto. Ma ora, a 24 anni dai fatti, il Parlamento italiano sta per varare una commissione d’inchiesta al Senato.

Il Moby entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, alla fonda in rada, carica di greggio. L’impatto fu devastante: morirono arse vive o asfissiate dai fumi tutte e 140 le persone a bordo del traghetto, 65 membri dell’equipaggio compreso il comandante Ugo Chessa e 75 passeggeri, tranne una: il giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand.

Oggi a Livorno si sono svolte diverse iniziative per non dimenticare, fra cui un corteo, promosse e organizzate dalle associazioni dei familiari delle vittime, che chiedono verità e giustizia. «La verità processuale parla di tragico incidente: è una formula che non mi perito a definire ignobile e che rigetto con sdegno» ha detto il sindaco di Livorno Filippo Nogarin, oggi, nel suo intervento a palazzo comunale durante la commemorazione. Nogarin ha letto inoltre i messaggi di cordoglio inviati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal presidente del Senato, Pietro Grasso, da quello della Camera, Laura Boldrini e dal sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Poi sono intervenuti alcuni familiari delle vittime. Alla celebrazione hanno partecipato anche i familiari delle vittime della strage di Viareggio del 2009. In post sul suo profilo Facebook, Luchino Chesa, uno dei figli del comandante del Moby, ha rilevato polemicamente che: «il Sindaco Filippo Nogarin ha letto i messaggi del Presidente della Repubblica Mattarella, del Presidente del Senato Grasso e del Presidente della Camera Boldrini…..mancava solo il Presidente del Consiglio Renzi………». Alcuni giorni fa Chessa aveva scritto al premier affinché rompesse il silenzio e incoraggiasse la nascente commissione d’inchiesta aprendo gli archivi dello Stato.

Oggi si è verificato un incontro fra i rappresentanti dei familiari e alcuni parlamentari, in vista della costituzione di una commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sul caso, per il varo della quale manca soltanto il via libera dell’Aula in Senato, dopo l’approvazione unanime della Commissione Lavori pubblici. «Quella di Livorno è la più grave tragedia sul lavoro e per questo si chiama in causa il datore di lavoro, cioè l’armatore – ha dichiarato Loris Rispoli, presidente dell’associazione «140», una di quelle che riunisce i congiunti delle vittime -. Noi continuiamo a chiederci perché Vincenzo Onorato (patron della Navarma, ndr.) non sia mai salito sul banco degli imputati. Ora finalmente la commissione di inchiesta può dare quelle risposte che in 24 anni non abbiamo avuto».

Presenti al tavolo con Rispoli il senatore Marco Filippi (Pd) e la senatrice Alessia Petraglia (Sel). «Per noi il 10 aprile rappresenta un pò l’11 settembre per la nostra città – ha detto Filippi – una data che interroga le nostre coscienze, come ha spiegato Rispoli, per cercare di rispondere alle esigenze che, dopo 24 anni, hanno necessità di essere accompagnate con parole di verità e di giustizia. Elemento di novità di quest’anno – ha aggiunto Filippi – è essere giunti ad avere il traguardo della commissione di inchiesta parlamentare sul Moby Prince, che ieri in commissione abbiamo approvato all’unanimità su un testo unificato e senza emendamenti. Questa è la forza: lavorare per una lettura univoca delle situazioni di fatto, tralasciando le bandiere di parte».

La commissione lavorerà per due anni con report semestrali in aula prima di arrivare alla relazione finale. «Sulla vicenda – ha concluso il senatore – ancora sono moltissime le zone d’ombra e una molteplicità di incastri che non tornano. Più che in altre situazioni credo quindi che sia necessaria una commissione di inchiesta autorevole». In chiusura è intervenuto anche Angelo Chessa, figlio del comandante del Moby Prince, fratello di Luchino, e presidente dell’associazione «10 aprile», che riunisce anch’essa familiari delle vittime.

«Dallo scorso anno qualcosa è cambiato – ha detto Chessa – c’è un consenso totale sulle cose da fare tra le due associazioni dei familiari delle vittime e ora con una commissione di inchiesta, che speriamo possa presto cominciare a lavorare, i punti interrogativi di una vicenda intricata si devono congiungere in una causa comune che serva per tirare fuori la verità».

«Nel 24° anniversario della tragedia del Moby Prince, voglio rivolgere un pensiero alle 140 persone che morirono in una strage ancora priva, ad oggi, di una verità definitiva – ha dichiarato il senatore Vannino Chiti (Pd) -. Ho davanti agli occhi l’immagine del relitto riportato nel porto ancora avvolto, dopo tante ore, dal calore dell’incendio. È un dovere imprescindibile tenere viva la memoria di quanto avvenne nelle acque di Livorno e fare piena giustizia sull’accaduto. Per questo, insieme ad altri colleghi, abbiamo presentato una proposta per l’istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare sulle cause del disastro. Proprio ieri la proposta ha avuto un primo via libera dalla commissione competente. Mi auguro che ora rapidamente sia approvata dall’Aula del Senato».

«Amarezza, commozione, rabbia. E soprattutto un impegno pressante e non più rimandabile, quello di restituire la verità ai familiari delle 140 vittime della strage della Moby Prince» è stato invece il commento alla giornata delle parlamentari toscane di Sinistra Ecologia e Libertà, Alessia Petraglia e Marisa Nicchi.


Domenico Coviello

Giornalista

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