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Bandiera Pd

Pd: la minoranza affila le armi in vista della Direzione di lunedì. Rimprovera a Renzi la sconfitta in Liguria e l’emorragia di voti (anche in Toscana)

Pippo Civati
Pippo Civati

ROMA – Un milione di voti persi rispetto alle politiche del 2013, 600 mila in meno delle regionali di quello stesso anno, due milioni in meno delle europee 2014. Dietro il 5 a 2 alle Regionali c’è «un’emorragia di voti molto preoccupante» che delinea più che vittoria, una «non sconfitta». È sostanzialmente questa l’analisi del voto della minoranza Pd, che senza alzare i toni, affonda il colpo. E chiede a Matteo Renzi una «riflessione vera, non superficiale, non nascosta dietro capri espiatori». Con un cambio di rotta su temi fondamentali, su cui discutere prima dell’approvazione, come la scuola e la riforma costituzionale. Nella battaglia di posizione per portare il partito renziano più a sinistra, la minoranza Pd si sente oggi più forte, considerato il risultato della Liguria, ma soprattutto quello complessivo di voti e non di regioni perse o guadagnate. E sul piatto della bilancia peseranno anche le centinaia di migliaia di voti persi nelle altre regioni, cominciare dalla Toscana, dove il di nuovo governatore, Enrico Rossi, è stato votato solo dal 23% dei cittadini. L’astensione è arrivata al 52%.

FASSINA – Stefano Fassina, che sembrava già in uscita dal partito, attende un segnale al Senato sulla riforma della scuole e ora non esclude di restare.

SINISTRA – Ma ancor più forte si sente, fuoriuscita dal Pd, la «nuova sinistra di governo», che cercava nel laboratorio ligure un segnale di incoraggiamento. Pippo Civati lancia il suo movimento: «Possibile» (sull’esempio dello spagnolo Podemos, che ha ottenuto un rilevante successo alle recenti elezioni). Con una lettera aperta a tutti i possibili compagni di strada. Perchè «a tutti quelli che ridono del paragone con lo spagnolo Podemos» oggi si può far notare che al debutto Podemos ha preso l’8%, mentre Luca Pastorino in Liguria («La nostra Scozia») è arrivato al 9,4%. «Nessuno alla sinistra del Pd è mai andato così bene – sottolinea l’ex sfidante di Renzi alle primarie – Senza un simbolo nazionale, senza felpe, con una proposta senza eguali in altre regioni: è la prova che c’è lo spazio politico per una vera sinistra di governo».

LANDINI – Civati guarda alla coalizione sociale di Maurizio Landini, che per ora tace e nega di avere interesse a creare una cosa di sinistra, ma si riunirà di nuovo il 6 giugno. Altro interlocutore naturale in quest’area è Nichi Vendola che mercoledì riunirà la presidenza di Sel per analizzare il «colpo durissimo» subito da Renzi e le possibilità che si aprono per tessere la «rete» di una sinistra «non radicale ma alternativa» al Pd, ora che è stato scalfito il mito della sua «presunta invincibilità».

MINORANZA – Quei movimenti a sinistra non vanno ignorati, avvertono gli esponenti della minoranza Pd. Non tanto e non solo per quanto emerso dal «laboratorio ligure», ma perchè i voti calano in tutte le regioni. «Houston abbiamo un problema», sintetizza con una battuta Gianni Cuperlo, che invita a «sgombrare il campo dalle metafore sui gufi e le rottamazioni», «apprezzare» la scelta di chi non ha mai evocato la scissione, e nella direzione annunciata per lunedì «ripartire col piede giusto», chiedendosi «cosa c’è da correggere».

BERSANIANI – Prudenti si mostrano i bersaniani, che aspettano le mosse del segretario. E se per ora Bersani non parla, Miguel Gotor invita «i renziani a non fare gli struzzi, perchè il Pd ha subito una notevole emorragia di voti a livello nazionale, un serio campanello di allarme». Bisogna pensare a un maggiore coinvolgimento degli «iscritti ed elettori» per legittimare il programma di governo, dice Alfredo D’Attorre, evocando una sorta di congresso. Mentre Nico Stumpo ricorda che dopo «l’errore clamoroso» compiuto sulla scuola, il Pd «non sfonda al centro e soffre a sinistra: dunque va ripensato l’intero modello» e il meccanismo attraverso il quale vengono prese le decisioni.

Prima della direzione Pd, anche alla luce di quanto accadrà nei prossimi giorni, la minoranza dem si riunirà per concordare la linea. La speranza è che, sulla base di una «vera» riflessione sul voto, Renzi avvii una correzione di rotta. Se ciò non accadrà, la battaglia si sposterà in Parlamento. Al Senato, dove i 24 della sinistra Pd sono determinanti, sono stati depositati 300 emendamenti dem alla riforma della scuola. Sarà quello l’inizio della battaglia, a meno di un improbabile, per ora, accordo.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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