Istat, lavoro: la staffetta generazionale non funziona. Il peso dei giovani è sempre minore
ROMA – L’Istat nel suo Rapporto annuale traccia un’analisi molto dettagliata sulla situazione del Paese, le sue prospettive, sulle trasformazioni sociali e demografiche (la popolazione italiana diminuisce e invecchia). Con una lettura che attraversa le varie fasce generazionali: giovani, adulti, anziani, dalla Generazione della ricostruzione a quella del Baby boom, dalla Generazione di transizione a quella del Millennio (la più colpita dalla crisi) sino all’ultima, la Generazione delle reti.
STAFFETTA – Viene messo in dubbio che uno dei temi più dibattuti degli ultimi tempi, quello che la staffetta generazionale giovani/anziani sui luoghi di lavoro possa funzionare davvero per dare una prospettiva di lavoro alle nuove generazioni, come tanti economisti (schierati a favore del Governo) sostengono.
DIFFICILE SOSTITUZIONE – Il confronto tra i 15-34enni occupati da non più di 3 anni al primo lavoro e le persone con più di 54 anni andate in pensione negli ultimi 3 anni, infatti, secondo l’Istat fa emergere l’esatto contrario: la difficile sostituibilità “posto per posto” di giovani e anziani. Mentre i giovani entrano soprattutto nei servizi privati – 319 mila nei comparti del commercio, alberghi e ristoranti e servizi alle imprese, a fronte dei 130 mila in uscita – in altri settori le uscite non sono rimpiazzate dalle entrate (125 mila escono da Pubblica amministrazione e istruzione contro 37 mila entrate).
OCCUPAZIONE – Tra il 2004 e il 2015 giovani e adulti presentano dinamiche opposte, visto che il peso decrescente dei 15-34enni sul totale degli occupati testimonia il progressivo invecchiamento della forza lavoro. A questo si aggiunge la diversa struttura dell’occupazione: gli occupati di 55-64 anni sono più presenti nei settori tradizionali (agricoltura, servizi generali della pubblica amministrazione, istruzione e sanità), i giovani nei servizi privati, in particolare alberghi e ristoranti e commercio.
ISTRUZIONE – Inoltre, il maggiore investimento in istruzione dei più giovani non trova riscontro nella qualifica del lavoro svolto, tanto che il numero dei sovraistruiti fra i 15-34enni è quasi il triplo di quello degli adulti. Le generazioni più giovani sono state particolarmente penalizzate dalla crisi: il tasso di occupazione di un laureato di 30-34 anni dal 79,5% nel 2005 cade al 73,7% dieci anni dopo.
GIOVANI NEET – Nel 2015 sono stati più di 2,3 milioni i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet), di cui tre su quattro vorrebbero lavorare. I Neet sono aumentati di oltre mezzo milione sul 2008 ma diminuiscono di 64 mila unità nell’ultimo anno (-2,7%). L’incidenza dei Neet sui giovani di 15-29 anni è al 25,7% (+6,4 punti percentuali su 2008 e -0,6 punti su 2014). La condizione di Neet è più diffusa tra gli stranieri (35,4%), nel Mezzogiorno (35,3%) e tra le donne (27,1%), specie se madri (64,9%).
DISOCCUPATI – Dopo sette anni di aumento ininterrotto, il numero dei disoccupati torna a scendere e tocca l’11,9% (-0,8 punti percentuali) e i disoccupati si riducono a poco più di 3 milioni (-6,3%, -203 mila unità). Il tasso di occupazione dei giovani di 15-34 anni si attesta però al 39,2% (50,3% nel 2008).
FUTURO – Il futuro non promette grandi miglioramenti. «Da un esercizio statistico riferito al decennio 2015-2025 emerge che le dinamiche demografiche comporteranno un miglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell’offerta di lavoro. Nel 2025 il tasso di occupazione resterà dunque prossimo a quello del 2010, a meno che – segnala lo studio dell’Istituto di statistica – non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva». In sostanza, ci dice l’Istat, le grandi riforme vantate da Renzi anche in Europa non hanno portato vantaggi sensibili, quanto meno in campo economico e occupazionale; forse sarebbe giunta l’ora di diminuire annunci e promesse e di agire sul serio per rilanciare la produzione e ovviare ai problemi strutturali del Paese.