Due giugno 1946, la novità del referendum
FIRENZE – Nel 1946 l’Italia, che era appena uscita dalla seconda guerra mondiale, era un paese lacerato dal lutto, le città si presentavano distrutte, le fabbriche erano ferme, i campi abbandonati. Era necessario ricominciare, darsi una nuova forma di governo scegliendo tra la monarchia, già esistente, e il modello repubblicano, inoltre servivano anche nuovi principi, nuove norme in altri termini serviva una nuova costituzione. Ecco allora un’idea geniale: fare un referendum. Fu così che ventotto milioni di italiani furono chiamati alle urne ; non andarono a votare gli abitanti dell’Alto Adige e del Venezia Giulia poiché ancora non erano tornati sotto la sovranità italiana.
In quel lontano 2 giugno ci furono lunghe code davanti ai seggi e i bar e i caffè di Roma rimasero chiusi per poter dare la possibilità ai proprietari di andare a votare. Fu inoltre proibita la vendita di alcolici e superalcolici fino alla mezzanotte del 4 giugno. Le votazioni si svolsero in un clima sereno, anche se i giornali dell’epoca riportano la notizia di un attentato alla sede dell’Unità e dell’Avanti a Milano per un mano di “un gruppo di persone, certamente neo-fascisti, ha lanciato una bomba attraverso una finestra che era rimasta aperta. Feriti tre operai del reparto rotative, uno dei quali in maniera piuttosto grave. Autori dell’attentato sei persone giunte davanti al giornale in macchina: tre hanno lanciato l’ordigno, gli altri sono rimasti in auto ad aspettarli”.
Gli italiani erano felici di tornare a votare dopo il ventennio di dittatura fascista a Firenze a mezzogiorno avevano già votato il 50% degli aventi diritto. La novità di questo referendum fu rappresentata dalla presenza numerosa delle donne alle quali per la volta fu dato il diritto di voto tant’è che Dorothy Thomson scrisse “non è azzardato affermare che saranno proprio le donne a far pencolare la bilancia in favore della monarchia o della repubblica” e fu consigliato alle elettrici di non mettersi il rossetto poiché la scheda doveva essere incollata e non doveva avere nessun segno tangibile altrimenti sarebbe stata annullata.
Su Il Messaggero del 4 giugno 1946 troviamo la notizia dei politici al voto: “Il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi ha votato a Roma in via delle Fornaci a due passi dalle muta vaticane. S’è messo in coda con gli altri elettori, ha declinato per un poco l’invito che questi gli facevano di passare avanti e poi ha ceduto alle loro insistenze aggiungendo con un sorriso ‘farò presto tanto so per chi devo votare’ […], il ministro della Giustizia Palmiro Togliatti (Pci) ha votato in una sezione di Frascati. Il re Umberto II atteso per il voto in via IV Novembre, non s’è visto. La Regina invece è arrivata intorno alle 8.30, ha rifiutato la scheda del referendum rendendo nullo il suo voto per la Costituente e ora rischia una multa stando alla legislazione vigente dalle 200 alle 300 lire”.
Ci furono anche all’epoca polemiche di tipo politico scatenate dal messaggio rivolto agli italiani poco prima dell’apertura dei seggi e quindi a campagna elettorale ormai conclusa dal re Umberto II. Questo scatenò la reazione di Palmiro Togliatti che in risposta alle parole del re firmò un editoriale sull’Unità il 2 giugno 1946 affermando che: «(…) Il trionfo della Repubblica è garanzia di progresso pacifico per tutti. Il voto per la monarchia è voto per la disunione, per la discordia, per la rovina d’Italia!». I voti a favore del modello repubblicano furono pochi di più di quelli a favore della monarchia e l’Italia diventò una Repubblica.