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Camillo Cipriani A5c37d06

Referendum: la campagna per il Si costerà oltre due milioni al Pd. Ma l’esito è cruciale, a detta del premier

Il Presidente del consiglio Matteo Renzi durante il suo intervento in occasione dell'apertura della campagna per il sì al referendum costituzionale di autunno, al teatro Niccolini di Firenze, 2 maggio 2016. ANSA/ MAURIZIO DEGL'INNOCENTI

ROMA – Anche se recentemente il premier ha abbassato i toni della sfida, affermando che il prossimo 4 dicembre non sarà un voto su Renzi e sul governo, ma sulla costituzione, il referendum costituzionale ha assunto ormai tale importanza a livello politico che il boy-scout fiorentino non bada a spese. Ecco che ha inviato la Boschi, contestata in patria in alcune feste dell’Unità, a spiegare il referendum e promuovere il Sì fra gli elettori italiani del Sud America, visto che i voti all’estero potrebbero diventare decisivi. Questi viaggi della ministra hanno pesato sul bilancio dello Stato, ma la campagna per il Sì peserà soprattutto sulle tasche del partito in termini di energie, uomini e soldi.

Per organizzare una spettacolare e fruttuosa propaganda, il premier, noto appassionato spettatore di politica americana, non è andato a pescare Oltreoceano un nome qualsiasi, bensì Jim Messina, colui che da tutti è considerato l’artefice della vittoriosa campagna di Barack Obama nel 2012, quella più complicata, con un leader consumato dalla prova di governo che doveva fare i conti con la realtà di un congresso spaccato, dopo il trionfante mid-term repubblicano. Il Paese è diviso e a Messina Renzi ha affidato il compito più arduo: traghettare gli indecisi verso il sì. Il tutto per una parcella, sembra, di 400 mila euro. È quanto prenderà il guru per la sua super-consulenza, appena centomila euro in meno di quanto, mezzo milione di euro, il Pd ha incassato con la raccolta delle 500 mila firme per il referendum. La cifra sta circolando tra i parlamentari democratici venuti a conoscenza che quei soldi saranno scuciti dai gruppi di Camera e Senato assieme agli ulteriori 700 mila euro destinati alla campagna pubblicitaria. Quella, per intenderci, che sta tappezzando le grandi città, autobus compresi. Quella che ha fatto infuriare un po’ di parlamentari della minoranza, bersaniani e non, per i toni dal sapore di anti-politica che cavalcano i temi contro la casta tanto cari ai 5 Stelle.

Marco Meloni, deputato fedelissimo di Enrico Letta, ha chiesto apertamente su Twitter che venga ritirato lo slogan di Basta un Sì che domanda all’Italia se si vuole «diminuire il numero dei politici». Tutti i cartelloni sono firmati in basso dai deputati e dai senatori del Pd. Per questo Meloni si è sentito in diritto di chiedere al suo capo-gruppo Ettore Rosato di cancellarlo: «Ok riduzione dei senatori, non dei “politici”. Il manifesto è sbagliato. I politici sono tutti i cittadini che fanno politica». Non c’è bisogno di essere strateghi del calibro di Messina per capire che con l’aria che tira in Italia, la parola “politici” accanto a “taglio” ha molta più efficacia di senatori, che comunque verranno ridotti ma non aboliti.

Lo slogan non è andato giù a molti altri democratici, curiosi di sapere di più anche su quanto spenderà in tutto il Pd, alla fine. Ai soldi dei gruppi ci sono da aggiungere anche quelli del partito, che pare si aggirino attorno a 1,7 milioni di euro. Il gruzzolo finale dovrebbe fermarsi così poco sotto i 3 milioni. «Abbiamo 14 milioni di euro a bilancio – spiega Daniele Marantelli, tesoriere del gruppo Pd alla Camera, non del partito – La campagna del referendum è perfettamente coincidente con le tipiche attività del gruppo». E confermando il compenso di Messina aggiunge: «C’è da dire che lo abbiamo pagato anche per la campagna No Imu lanciata prima delle elezioni amministrative». «Peggio mi sento – risponde un deputato bersaniano – visto come sono andate a finire quelle elezioni».

Di referendum Messina però ne ha già vinto uno, nel 2014, accanto a David Cameron contro l’indipendenza della Scozia. Renzi spera che possa bissare in Italia. Il premier punta su un marketing massiccio che serve anche a coprire la campagna per il Sì dagli attacchi di avversari e critici che spuntano quasi quotidianamente. Recentemente è stato il turno del Financial Times, autorevole quotidiano finanziario britannico che senza troppo tatto ha definito le riforme di Renzi «un ponte verso il nulla». Come, pare, finirà la promessa del ponte sullo Stretto. Ma Renzi non se ne cura e prosegue il suo giro d’Italia per sostenere il Si, mentre l’economia non tira, gli immigrati ci invadono e i cittadini non si appassionano molto a questi giochi di Palazzo.

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