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Firenze: l’omelia di Betori a un anno dalla morte del cardinale Piovanelli

Il Cardinale Silvano Piovanelli

FIRENZE – Oggi, 9 luglio, primo anniversario della morte dell’amato cardinale Silvano Piovanelli,la Chiesafiorentina lo ricorda al Signore e, insieme a lui, fa memoria grata e orante di tutti i suoi Pastori defunti. Siamo qui riuniti in una preghiera, perché siano accolti nell’amore del Padre e nell’abbraccio dell’unico Pastore, Cristo Signore. Ma ci ritroviamo anche a riflettere sulla nostra Chiesa e il suo cammino nella storia e su come collocarci di fronte al disegno di salvezza che Dio ha per l’umanità, che i Pastori fiorentini hanno servito in mezzo al nostro popolo.

Folla di fiorentini alle esequie del cardinale Silvano Piovanelli (Foto Palinko)

Una riflessione in cui ci lasciamo guidare dalle letture bibliche che la liturgia della Chiesa propone in questa XIV domenica del tempo ordinario, al cui centro si colloca la presentazione che Gesù fa di sé stesso come «mite e umile di cuore» (Mt11,29). Parole in cui riconosciamo l’eco della visione del Messia che, nel libro del profeta Zaccaria, viene promesso a Gerusalemme come un re che verrà a lei cavalcando un asino, la nobile cavalcatura degli antichi sovrani, come apportatore di un’era di pace, di unificazione non solo dei due regni di Israele e Giuda – «Efraim» e «Gerusalemme» –, ma del mondo intero, «da mare a mare» (Zc9,10). La sua missione è un progetto di comunione e di unità, di superamento delle divisioni e di abbattimento delle barriere. Prospettive di particolare attualità anche per il nostro tempo su cui pesano conflitti e lacerazioni, emarginazioni ed esclusioni.

Il cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori

Ma, nelle parole del profeta, colpisce soprattutto le modalità con cui il Messia viene a compiere questo disegno, cioè l’umiltà e la giustizia: «Egli è giusto e vittorioso, umile» (Zc9,9). Là dove la logica umana ritiene che per unire occorre dominare ed esercitare un potere, che ha bisogno della forza per potersi imporre, la parola di Dio ci svela che il mistero della comunione si fa storia, come un dono di vittoria, nel compiersi della giustizia, cioè del disegno di Dio sul mondo, e nel vivere in quell’atteggiamento di consegna di sé a Dio, riconoscendosi come sua creatura, che il linguaggio biblico riassume nell’umiltà e nella povertà.

La pace non è la conquista dei forti e dei potenti, ma il dono che viene fatto ai poveri e agli umili. Non dimentichiamo che in questa cattedrale Papa Francesco, due anni fa, ha indicato proprio nell’umiltà il primo dei sentimenti di Cristo che la Chiesadeve condividere. Ci hadetto: «L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre». E ancora: «Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente»(Papa Francesco,Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze 10 novembre 2015).

Voglio rammentare, a questo punto, come nel mio ricordo del Card. Silvano Piovanelli nel giorno delle sue esequie, proprio nelle beatitudini volli riassumere della sua testimonianza e del suo servizio di Pastore:«Pretepovero e umile, afflitto per il peccato del mondo, mite e dolce, con il desiderio di compiere sempre la volontà divina, uomo di misericordia, cuore e mente conformi al cuore e alla mente di Dio, promotore di comunione e di pace, fedele nelle avversità patite a causa del Vangelo. Uomo buono, uomo cioèdelle beatitudini,fratello e padre» (Card. Giuseppe Betori,Ricordo del Card. Silvano Piovanellinella celebrazione delle sue esequie,12 luglio 2016). Ma a ricondurre alla povertà e all’umiltà il significato della vita del cardinale Silvano sono le sue stesse parole, quelle che ci ha lasciato nel suo testamento:«Sono nato povero e […] sono rimasto povero e quindi non ho nulla da lasciare; ho da lasciare soltanto amore; l’amore con cui ho cercato di incontrare gli altri; ed ora che sono ai momenti ultimi della mia vita intendo fare, mettendo tutto nelle mani di Dio, il dono di me al Signore. È un dono rinnovato e sento che il Signore sta per accoglierlo […]. Ora che sono in dirittura di arrivo però non mi volto indietro se non per ringraziare e corro verso il Signore per lasciarmi abbracciare totalmente da Lui»(Card.Silvano Piovanelli,Testamento spirituale, 13 giugno 2016).

L’immagine delle beatitudini, che Gesù applica a sé stesso nelle parole del vangelo, egli poi la estende come un programma di vita per i suoi discepoli, i «piccoli» che il Padre ha voluto come destinatari della rivelazione, di cui il Figlio è il mediatore, anzi di cui egli è al tempo stesso l’annunciatore e il contenuto. Nel volto di Gesù risplende infatti la verità dell’uomo che egli viene a comunicare a quanti accettano di accogliere la sua parola, un giogo che non opprime nella schiavitù di una legge, ma che si propone come un’esperienza dolce e leggera, soave, perché la strada che Gesù mostra è la strada della vera libertà.

Questo i nostri Pastori ci hanno testimoniato lungo i secoli e il loro ministero della parola e della comunione ha fatto sì che questa Chiesa fiorentina, attraverso le temperie dei secoli, che, come ricorda il vangelo, possono anche portare a stanchezza e a oppressione, sia rimasta fedele al suo Signore e possa continuare ancora oggi a misurarsi con la sua missione di essere segno di speranza per il mondo.

Mentre nella preghiera vogliamo esprimere al Padre la nostra gratitudine per il ministero svolto dai Vescovi fiorentini nella storia, sentiamo quindi anche la responsabilità di mostrarci all’altezza dell’eredità di fedeltà al Vangelo che essi ci hanno lasciato.

A questa Chiesa vogliamo rinnovarela nostra appartenenza e vogliamo farlo con amore, come ci ha insegnato Papa Francesco nellasuarecente visitatra noi:«Amiamo la Chiesa[…]e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità»(Papa Francesco,Discorso aBarbianaper la visita alla tomba di don Lorenzo Milani, 20 giugno 2017). Poniamoci con gioia su questo cammino.

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