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Bruxelles: la ue chiederà una manovra lacrime e sangue, ma solo al prossimo governo

BRUXELLES – Dalla Commissione Ue si annunciano venti di guerra, ma solo dopo le prossime elezioni per non influire sulle votazioni. A differenza della magistratura, che arriva puntuale con le sue inchieste nei confronti del centrodestra in prossimità delle elezioni, gli organismi europei non vogliono rischiare accuse d’intromissione nella politica degli Stati membri.

Il 22 novembre, quando l’esecutivo Ue pubblicherà le opinioni sulle leggi di bilancio, sarà però chiaro quello che ci aspetta e che è già filtrato ieri da ambienti comunitari: nella manovra per il 2018 mancano 3,5 miliardi. Da qualche parte, prima o poi, qualcuno dovrà tirarli fuori. Ma non solo, perché c’è pure il rischio concreto di una «deviazione significativa» nel 2017. Il «non rispetto» dei vincoli fissati dal Patto di Stabilità potrebbe, nel caso limite, portare alla procedura d’infrazione.

Nessuna delle due mine, però, esploderà entro la fine dell’anno. Con una serie di giustificazioni, la Commissione è pronta a concedere ulteriore tempo all’Italia. La richiesta di una manovra-bis (come quella fatta all’inizio di quest’anno) in piena campagna elettorale sarebbe controproducente, secondo il governo e secondo Bruxelles. Jean-Claude Juncker teme l’avanzata dei partiti populisti ed è disposto a tendere entrambe le mani verso il governo. Però le cifre parlano chiaro.

I 3,5 miliardi di euro di «buco» corrispondono allo 0,2% del Pil, ossia la quota che mancherebbe all’Italia per rispettare l’accordo informale preso con Bruxelles prima dell’estate. Le parti si erano accordate su una riduzione del deficit strutturale pari allo 0,3% del Pil (anziché lo 0,6% come previsto dai vincoli del Patto), circa 5,25 miliardi. Il problema è che i tecnici della Commissione si sono accorti che la manovra italiana non arriva a quella cifra: lo sforzo strutturale non va oltre lo 0,1%, ossia 1,75 miliardi. Ne mancano 3,5. Magari Bruxelles non li chiederà tutti fino all’ultimo centesimo e si troverà il modo di abbassare la cifra, anche perché con Roma resta una divergenza nel modo in cui vengono calcolati i parametri. Ma, si dice, «qualcosa andrà fatto». Resta da capire a chi spetterà farlo: la campagna elettorale è certamente il momento peggiore per chiedere a un governo una manovra aggiuntiva. L’ipotesi di un rinvio, dunque, resta la più accreditata.

Anche sull’eventuale procedura d’infrazione, alla fine, si prenderà tempo. Bruxelles dovrà per forza di cose redigere un rapporto sul debito pubblico italiano. Non è detto che lo faccia entro la fine dell’anno, potrebbe attendere: soltanto in primavera i dati Eurostat certificheranno le cifre definitive per il 2017. Le stime attuali dicono che nell’anno in corso l’Italia ha sforato. Il saldo strutturale – tra il 2016 e il 2017 – è peggiorato di 0,4%. Considerato che l’Italia avrebbe dovuto migliorarlo di 0,6%, lo scostamento è di un punto di Pil: 17,5 miliardi. Da questi, però, va scontata la quota di flessibilità ottenuta per sisma e migranti, circa lo 0,34% del Pil (6 miliardi). Nonostante ciò resta uno scostamento dello 0,66%: 11,5 miliardi. Se confermata in primavera, la cifra potrebbe portare teoricamente all’apertura di una procedura di infrazione.

Ma sarà, eventualmente, un problema del prossimo governo, un’eredità che probabilmente il Pd e Renzi – Gentiloni potrebbero passare ad altri. Come spesso avviene la sinistra spende e spande per motivi elettoralistici e poi i governi che seguono debbono decidere manovre lacrime e sangue. Con tutti gli svantaggi politici che questo comporta. Certo è che la Commissione non potrà rinviare troppo a lungo le proprie decisioni e quindi la questione rischia pesare anche sulla data delle prossime elezioni. L’ipotesi, ormai lontana, di un voto a maggio, come vorrebbe il rottamatore per cercare di recuperare almeno una parte dei consensi dilapidati, renderebbe più difficile anche questa partita.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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