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Pistoia, criminalità organizzata: inchiesta per bancarotta. Due in carcere e 22 ai domiciliari

PISTOIA – L’accusa è articolata: associazione per delinquere finalizzata all’intestazione fittizia di beni, auto-riciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, estorsione, assunzioni fittizie finalizzate alle truffe in danno dello Stato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, evasione d’imposta e false fatturazioni. Questi i numerosi reati per cui, a vario titolo, stamani i militari del comando provinciale carabinieri di Pistoia e del comando provinciale della guardia di finanza di Pistoia hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere e 22 misure agli arresti domiciliari, provvedimenti decisi dal gip Alessandro Buzzegoli. Una ulteriore misura, con obbligo di dimora, ha colpito un 25/esimo soggetto su un totale di 163 indagati. Eseguite 41 perquisizioni domiciliari. I soggetti raggiunti dalle misure abitano in Toscana, in Calabria e in Piemonte.

In carcere sono finiti un commercialista e un imprenditore. Ai domiciliari professionisti contabili, tra commercialisti e ragionieri, e numerosi imprenditori che vivono in Toscana. L’inchiesta, coordinata dai pm di Pistoia Fabio Di Vizio, ora alla procura di Firenze, e Claudio Curreli, si è avvalsa di due
indagini distinte denominate Amici nostri e Pluribus, confluite nello stesso fascicolo. Stimato in 50 mln di euro il danno arrecato ai creditori e all’Erario, mentre 20 mln di euro è la somma di capitali riciclati, anche con trasferimento di denaro all’estero. Sequestrati 36 mln di euro tra conti correnti
bancari e postali, proprietà immobiliari, e otto aziende con sedi nelle province di Pistoia e Firenze, attive nella ristorazione, nel movimento terra, nell’edilizia, nella vendita di tabacchi.

Le indagini hanno permesso d’individuare una struttura formata da imprenditori e commercialisti che si adoperava nel creare bancarotte aziendali.
In particolare, è stato spiegato in una conferenza stampa, le imprese scelte venivano svuotate delle risorse aziendali attraverso il depauperamento dell’attivo determinandone l’insolvenza e in alcuni casi il fallimento a danno dei creditori. Nelle indagini è stato accertato che il patrimonio distratto in modo fraudolento veniva illecitamente reimpiegato o riciclato in nuove realtà che subentravano alle imprese fallite di cui proseguivano l’attività attraverso cosiddette «teste di legno». Coinvolti, sempre secondo l’accusa, diversi personaggi contigui alla criminalità organizzata di tipo mafioso.

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