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L’Italia e il rischio jihadista, l’analisi di un esperto. Attenzione alle seconde generazioni

Jihad
Combattenti della Jihad islamica

L’Italia riguardo al rischio del terrorismo jihadista ha una situazione virtuosa, rispetto a quella di altri Paesi europei come la Francia, il Regno Unito o il Belgio, anche perché, essendo un Paese in cui l’immigrazione di persone di religione musulmana è più recente, i ragazzi della seconda generazione stanno diventando adulti ora.
Però, anche se il discorso è molto scivoloso, il timore è che, con una seconda generazione ampia, come c’è in altri Paesi europei, aumenti statisticamente il rischio, dato che cresce il potenziale bacino di reclutamento, il che non vuol dire in alcun modo criminalizzare i figli degli immigrati. A spiegarlo all’Adnkronos è Francesco Marone, ricercatore dell’Ispi e associate fellow dell’International Centre for Counter-Terrorism dell’Aja, in Olanda.

L’Icct ha da poco tradotto e ripubblicato, in inglese, un rapporto (“Destination Jihad: Italy’s Foreign Fighters”), a firma dello stesso Marone e di Lorenzo Vidino, che per la prima volta fa un quadro completo dei foreign fighters tricolori. Ora i foreign fighters tricolori, dai 125 dell’edizione in italiano, del giugno 2018, sono diventati 138. Di questi, 11 sono tornati in Italia, tre sono in carcere e otto sono attivamente monitorati dalle autorità di pubblica
sicurezza.

Per ora, spiega Marone, la situazione italiana è relativamente virtuosa, ma alcuni indicatori fanno pensare che la Penisola si stia avvicinando alla situazione problematica di altri Paesi, anche se, in virtù della storia del nostro Paese che ha vissuto gli Anni di Piombo e la lotta alla grande criminalità organizzata, quello italiano rimane un sistema antiterrorismo molto coordinato.

Tuttavia, continua il ricercatore, se l’aspetto repressivo va molto bene, visto che siamo l’unico grande Paese occidentale che non ha mai subito un attacco sul suo territorio dall’11 settembre, nel Nord Europa, da anni e talora da decenni, esistono politiche di deradicalizzazione, condotte con le scuole e le comunità islamiche, che si affiancano, senza sostituirvisi, all’azione repressiva. Su questo aspetto l’Italia non ha una strategia nazionale. E molti esperti consigliano di prepararsi a una situazione che potrebbe essere meno positiva nei prossimi anni.

Il tema demografico, premette Marone, è molto scivoloso, perché si presta a strumentalizzazioni politiche, ma, senza generalizzare, è un fatto: in Francia lo si vede benissimo, le seconde generazioni sono più a rischio della prima e della terza. In Italia le seconde generazioni adulte sono ancora poche e quella è la fascia più pericolosa: abbiamo una grossa prima generazione, mentre la seconda sta diventando adulta adesso. Da anni ci stiamo avvicinando, dal punto di vista demografico, ad una situazione che potenzialmente ci avvicina a quella degli altri Paesi.

In Francia, dove i foreign fighters partiti per Siria e Iraq sono circa 1.900, c’è già la terza generazione, mentre da noi la seconda sta arrivando adesso: molti sono ancora bambini, quindi non pericolosi. Il timore è che, con una seconda generazione ampia, come c’è in altri Paesi, aumenti statisticamente il rischio, senza in alcun modo criminalizzare le seconde generazioni. Ma aumenta il bacino di reclutamento, almeno potenziale.

Occorre dunque tenere le antenne ben dritte, per cercare di evitare i rischi mortali che altri Paesi hanno già, purtroppo per loro, sperimentato.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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