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Tagli alle pensioni alte: i riflessi negativi economici e politici, al di là della denunciata incostituzionalità

Le mani nelle tasche dei pensionati

Un articolo pubblicato su La Verità, a firma Salvatore Sfrecola, opera un esame obiettivo in merito all’ingiusta operazione, che molti ritengono incostituzionale, del taglio alle pensioni d’oro, operato dal governo gialloverde, su pressione grillina, capofila di Di Maio.

In particolare il giornalista esamina le possibili conseguenze politiche del provvedimento, anche se si deve considerare che la platea colpita da questo tipo di taglio è ridotta, ma qualificata. In tale prospettiva è importante valutare il significato del provvedimento, che colpisce diritti quesiti e causa un vulnus alla credibilità di questo Stato, che non mantiene i suoi impegni con i cittadini, fatto che potrebbe avere riflessi anche a livello internazionale.

Infatti il testo approvato è stato completamente diverso da quello preannunciato, che avrebbe dovuto colpire solo le pensioni non sorrette da contributi. L’attuale intervento dell’Inps costituisce una grave lesione dei diritti acquisiti perché va a incidere sugli assegni di coloro che, in costanza di lavoro, hanno regolarmente pagato i contributi nell’aspettativa di una pensione della quale sapevano l’esatto ammontare. Sul quale avevano fatto i conti di investimenti per sé e per figli e nipoti. Nota il giornalista che si tratta di un grave vulnus dei diritti acquisiti, che colpisce i lavoratori pubblici e privati dai cui stipendi, mese dopo mese, per molti anni, sono state prelevate somme che se fossero state versate ad una compagnia di assicurazione avrebbero consentito una pensione certamente più consistente di quella che lo Stato ha fin qui erogato.

Quest’iniziativa grillina incide sulla stessa immagine dello Stato la cui credibilità è messa a rischio dai tagli che rendono palese la sua inaffidabilità. Cosa penseranno gli investitori esteri, quelli che comprano i titoli del debito pubblico, di uno stato (minuscola apposita, data la situazione attuale) che viene meno alla parola data ai propri dipendenti? Di uno stato (idem come sopra) che applica la riduzione delle pensioni, con decorrenza primo gennaio 2019, dal primo giugno, all’indomani delle elezioni?

Gli interessati ovviamente si rivolgono ai giudici, il giudice del lavoro per i privati, la Corte dei conti per i dipendenti pubblici, per chiedere che sollevino una questione di legittimità costituzionale in relazione a vari profili, già oggetto di scrutinio da parte della Consulta. In particolare la Corte costituzionale aveva ritenuto possibile un «contributo di solidarietà» solo che la misura fosse una tantum e per un periodo limitato. La Corte lo aveva detto per una precedente edizione imposta da Matteo Renzi (emulato poi dai grillini nel tartassare i pensionati), del contributo di solidarietà. Lo aveva giustificato come una tantum (ed era per tre anni) ma sarà difficile che ne giustifichi la prosecuzione per un altro quinquennio. La legge di bilancio 2019 prevede infatti che la riduzione delle pensioni duri cinque anni, un tempo che alcuni, i più anziani, forse non vedranno concludersi.

Oltre alla contrazione dei consumi, la riduzione delle pensioni produrrà anche una riduzione del prelevo fiscale. Per le pensioni alte, ad esempio, la ritenuta Irpef mensile passa da 7 a 4.000 euro. Con 7.000 euro si potevano pagare più di tre pensioni minime, con quattromila poco più della metà. Un’operazione in perdita anche per la casse dell’Inps, anche se non si è stabilito neppure che l’introito del taglieggiamento vada a implementare le pensioni più basse.

Senza considerare il fatto dell’ulteriore ingiustizia perpetrata ed attuata ai danni di coloro che, come il sottoscritto, hanno corrisposto contributi in misura superiore ai 4o anni utili a pensione e, nel mio caso, hanno perciò regalato 5 anni di contributi pagati al massimo livello. E ancor peggio per i magistrati che, andando in pensione a 70 anni, potrebbero aver regalato addirittura 10 anni di contributi.

Infine riprendiamo una giusta osservazione del giornalista, che non piacerà ai populisti che hanno proposto e approvato la legge, e che si annidano non solo fra grillini e leghisti, ma anche fra sindacalisti, politici, giornalisti e fra la gente comune. Molti, parlando con me della questione, infatti sostengono che i pensionati d’oro non hanno ragione di lamentarsi, tanto la loro pensione basta e avanza, visto che ci sono persone che sopravvivono meno di 1.000 euro al mese. Ragionamento populista diffuso soprattutto per invidia sociale, la molla che muove i grillini e una buona parte del Pd. Ma in tal caso il sostegno alla relativa povertà, replico, dovrebbe venire dalla tassazione per tutti i redditi alti e non solo dalle tasche dei pensionati.

A questi argomenti Sfrecola ne aggiunge un altro: i destinatari di pensioni elevate sono persone che hanno raggiunto posizioni di responsabilità conquistate sulla base di studi rigorosi, corsi di laurea e di specializzazione, master, concorsi vinti, pubblicazioni scientifiche e con questo bagaglio culturale e professionale hanno partecipato a selezioni rigorose per pochi posti con centinaia o migliaia di concorrenti. Queste norme mortificano il merito, disincentivano l’impegno, distolgono l’attenzione dei più preparati nei confronti delle carriere pubbliche. Ma è proprio uno degli obiettivi a cui, in realtà, miravano Di Maio e compagni. Considerazione che sottoscriviamo in pieno.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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