Silvia Romano: su presunto riscatto esposto del Codacons alla Corte dei Conti. I retroscena sulla liberazione
ROMA – C’è un esposto del Codacons alla Corte dei Conti sul presunto riscatto pagato dallo Stato italiano per la liberazione di Silvia Romano. Presentando l’esposto alla magistratura contabile e costituendosi parte lesa in rappresentanza della collettività nella indagine aperta dalla Procura di Roma, il Codacons spiega: «La vicenda presenta molte, troppe zone d’ombra su cui è necessario fare chiarezza. Ovviamente salvare i nostri connazionali è un obbligo per lo Stato Italiano, e siamo tutti lieti per la liberazione di Silvia Romano, ma il pagamento di un riscatto in favore dei rapitori potrebbe rappresentare un reato non solo penale ma anche contabile».
Dalle prime dichiarazioni della cooperante, scrive ancora il Codacons, «sembrerebbe non sussistere la condizione che il codice penale richiede, ossia reale minaccia di morte imminente. Va accertato poi se la stessa potesse muoversi liberamente nei luoghi dove veniva portata senza che i servizi, pur informati, abbiano mai tentato come fatto altre volte di liberarla, se inoltre la Romano abbia liberamente scelto di abbracciare la religione dei suoi rapitori convertendosi all’Islam, e se vi fossero i requisiti per il pagamento di un riscatto».
In tal senso il Codacons chiede agli inquirenti «di interrogare tutti gli agenti dei servizi che hanno trattato coi rapitori. In tale contesto, se confermato, il versamento di denaro in favore dei rapitori rappresenta comunque una pesante sconfitta per lo Stato Italiano, e possibili reati sia penali, che contabili, sui quali ora dovrà fare chiarezza la Corte dei Conti, attraverso un esposto che sarà presentato oggi stesso, 11 maggio, dal Codacons».
Per quanto riguarda la liberazione della ragazza, è in un incontro dello scorso luglio a Roma, tra i vertici della giustizia kenioti e quelli della Procura romana che si sarebbero gettate le basi per riavere Silvia Romano dai sequestratori. Lo scrive il quotidiano keniota The Nation, tracciando un retroscena della varie fasi dell’indagine e della trattativa sfociata nel rilascio della giovane cooperante italiana. Per la parte keniota parteciparono all’incontro il director of Public Prosecution Noordin Haji e il director of Criminal Investigations George Kinoti. Per la parte italiana, scrive The Nation, erano presenti, tra gli altri, l’allora procuratore generale di Roma Giovanni Salvi e il pm incaricato delle indagini sul rapimento, Sergio Colaiocco. Nell’incontro venne deciso l’invio di un team di specialisti italiani dell’anti terrorismo in Kenya, per assistere nelle indagini, che sarebbero comunque rimaste nelle mani dell’ufficio guidato da Kinoti. E’ questo team italiano ad aver scoperto che la Romano era stata trasferita in Somalia. Da quel momento, scrive The Nation, sono stati avviati i tentativi di entrare in contatto con i rapitori. Secondo la ricostruzione dell’emittente News 1, che coincide con quella dei media italiani, i negoziati per la liberazione della cooperante sono stati avviati a gennaio, dopo la comparsa di un video, nel quale la Romano affermava di essere in buone condizioni».
«Da allora -afferma News 1 – sono trascorsi altri tre mesi di faticose trattative e durante i quali è stato autorizzato il pagamento di un riscatto. Lo scambio -prosegue l’emittente nella sua ricostruzioneè avvenuto l’8 maggio in una zona a 30 chilometri da Mogadiscio. La giovane donna è arrivata indossando i tradizionali abiti delle donne somale ed è apparsa in buona salute».
The Nation sottolinea che dopo che la Romano venne prelevata da uomini armati dal villaggio di Chakama , nella contea di Kilifi, la polizia keniota ha effettuato tre arresti. Si tratta di Ibrahim Omar, Abdulla Wario e Moses Liwali. La loro vicenda è ancora in tribunale. Altri due sospettati, Yusuf Kuno Adan e Said Adan Abdi, per i quali è stata stabilita una taglia di 1 milione di scellini, sono ancora in fuga. La Romano, è stato stabilito, è stata venduta agli Shabaab subito dopo il rapimento. Per The Nation è stata una combinazione di errori e ritardi da parte del governo keniota nelle ore immediatamente successive al rapimento a consentire ai sequestratori di raggiungere la contea di Garissa, prima di attraversare il confine con la Somalia. Per prima cosa, la polizia arrivò nel villaggio di Chakama almeno due ore dopo il rapimento. L’elicottero usato per le ricerche non si alzò in volo prima del giorno successivo. Soprattutto, ricorda The Nation, il governo keniota nelle settimane successivo continuò a fornire rassicurazioni sul fatto che la Romano si trovasse ancora in Kenya e che i tentativi per la sua liberazione stavano proseguendo, fino a quando la pista seguita non fornì più alcuna indicazione.