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Italia-Germania 4-3: cinquant’anni fa gli italiani si riscoprirono uniti

Rivera, autore del gol del 4-3, abbracciato da Gigi Riva

Cinquant’anni fa, 1970, nella notte fra il 17 e il 18 giugno, l’Italia, che non aveva dormito, scese in strada a far festa. Bandiere e clacsson strombazzanti. Era la prima volta che succedeva in un Paese che, nel dopoguerra, aveva pensato solo a ricostruire e produrre. Gli azzurri di Valcareggi, a Città del Messico, avevano conquistato la finale del campionato del mondo battendo la Germania (4-3) dopo i tempi supplementari in una partita mai più dimenticata. 17 giugno 1970: compivo vent’anni e partecipai alla festa, anche per raccontarla da giovane collaboratore de La Nazione. Cinquant’anni dopo, mentre mi accingo a festeggiare un compleanno sicuramente più pesante, rivivo, e non è retorica, le stesse sanzioni di allora. E’ cambiato tutto, profondamente. Allora vivevamo il boom economico e guardavamo al futuro con enorme speranza. Oggi dobbiamo fare i conti con lo sboom e lo spauracchio, non ancora dissolto, del coronavirus. Ma qui non voglio prendere lo specchio e riflettere la realtà di oggi. Mi volto e guardo indietro di mezzo secolo: l’Italia del calcio aveva tenuto svegli, davanti ai televisori in bianco e nero, vincendo la mitica semifinale mondiale. Nella notte, momento dopo momento, si materializzò il fantastico 4-3, allo stadio Atzeca di Città del Messico. Dove murarono una lapide a memoria dell’evento. Gli azzurri, guidati da Ferruccio Valcareggi, triestino d’origine e fiorentino d’adozione, avevano vinto il campionato europeo del 1968 eliminando l’allora Unione sovietica per sorteggio (per screditarci avevano favoleggiato di una moneta con la doppia faccia…) e battuto poi l’allora Jugoslavia nella finale bis. La Federazione italiana gioco calcio era guidata dal più grande dirigente di sempre: Artemio Franchi.

BOSSANOVA – Anche cinquant’anni fa, intorno alla nazionale le polemiche non mancavano. La formazione non ho bisogno di rileggerla: ce l’ho stampata in mente. Del resto, venne immortalata da Fausto Cigliano che, probabilmente, appena finita la partita (la sera a Città del Messico, notte fonda in Italia) tirò fuori dalla chitarra tirando una bossanova. Il testo altro non era altro che la formazione dell’Italia, riserve comprese, con l’idea di alternare Rivera e Mazzola. In panchina. Con Zoff. Diceva: Albertosi, Burgnich e Facchetti, con Bertini, Rosato e Cera. C’era un gol. Domenghini e Mazzola, Boninsegna e Rivera … in panchina. Ancora: con Zoff. De Sisti (capitano della Fiorentina dello scudeto 1968-69) e Riva. «Riva non innervosirti, Valcareggi, ti sta a guardare… fai un gol». La incise anche Mina in un album del ’72 che s’intitolava Altro.

L targa murata nello stadio Atzeca di Città del Messico a ricordo della partita del secolo
La targa murata nello stadio Atzeca di Città del Messico a ricordo della partita del secolo

CAROSIO – Nel girone eliminatorio di quel mondiale, gli azzurri non avevano brillato. Vittoria striminzita con la Svezia, 1-0, per un tiro di Domenghini passato sotto la pancia al portiere scandinavo. Poi due pareggini con Uruguay e Israele. In realtà contro Israele l’Italia aveva segnato due gol, con Riva e Domenghini, annullati dall’arbitro etiope. Scatenando l’ira di Niccolò Carosio, mitico telecronista Rai, che attaccò il direttore di gara. Finendo accusato di razzismo e allontanato. Lui, che aveva raccontato le vittorie dell’Italia ai mondiali del ’34 e del ’38, da quel momento fu escluso dal servizio. Fine di un’epoca e di un modo epico di raccontare le partite. Nei quarti di finale il primo botto: 4-1 al Messico padrone di casa. Con Gigi Riva sugli scudi: aveva appena guidato il suo Cagliari allo scudetto ma al mondiale, fino a quel giorno, era rimasto a motore freddo. Semifinale contro la Germania. Tante letture, tante interpretazioni: perfino i ricordi della guerra, finita da 25 anni. Ma la polemica che più di ogni altra minava la tranquillità dei ragazzi del CT Ferruccio Valcareggi, e che esploderà dopo la finale, era però quella della famosa “staffetta” tra l’interista Sandro Mazzola e il milanista Gianni Rivera, Pallone d’oro 1969. Dopo la vittoria sulla Germania, nella finale contro il Brasile, infatti, Rivera non venne inserito al posto di Mazzola alla fine del primo tempo, come doveva essere, ma solo negli ultimi 8 minuti. Avremmo perso ugualmente dai brasiliani di Pelè, però la stampa milanese crocifisse il povero ‘Uccio.

MITO – Ma andiamo avanti con Italia-Germania. Altro ricordo personale: insieme a mio fratello Massimo avevamo appuntamento con gli amici, per la partita, alla Casa del Popolo delle Due Strade. Che notte da urlo! La Germania Ovest (la riunificazione con quella dell’Est, che era sotto l’influenza comunista dei sovietici sarebbe avvenuta solo dopo la caduta del Muro di Berlino) si presentava all’Azteca fiduciosa e favorita: nei quarti aveva vompiuto l’impresa, ribaltando il risultato nei tempi contro i campioni in carica dell’Inghilterra ( da 0-2 a 3-2). Valcareggi escluse ancora una volta dalla formazione iniziale Rivera preferendogli Mazzola. Il primo gol fu segnato da Roberto Boninsegna dopo 8 minuti. Poi Italia prudentemente in difesa. E via in contropiede. O in ripartenza. Con De Sisti umile ma efficacissimo faticatore a metà campo. Grande Enrico Albertosi, già portiere della Fiorentina passato al Cagliati da un paio di stagioni. Partita fin qui normale. Ma tedeschi disperati: temevano la sconfitta e l’eliminazione. Poi l’infortunio del loro capitano: Franz Beckenbauer. Detto kaiser Franz. Che tornò stoicamente in campo con il braccio al collo. Il colpaccio arrivò da un tedesco italianizzato: Karl-Heinz Schnellinger, terzino del Milan, al suo primo e unico gol in quarantasette partite con la maglia della nazionale. Accadde due minuti e mezzo oltre i tempi regolamentari. La cosa, contrariamente a quanto succede oggi, a quei tempi era più unica che rara. In quasi tutte le partite gli arbitri fischiavano la fine allo scadere del 90º minuto. Questo spiega lo sconcerto del telecronista, Nando Martellini, che al fischio finale dei tempi regolamentari disse al microfono: «Questo arbitro Yamasaki! Due minuti e mezzo dopo la fine del tempo regolamentare!».

SUPPLEMENTARI – Cominciarono così quei supplementari entrati nella storia: al gol di Gerd Müller, bomber straordinario, rispose un terzinaccio friulano, Tarcisio Burgnich. E l’Italia, un minuto prima della fine del primo tempo supplementare, passò addirittura in vantaggio: grande assolo di Riva in contropiede. Tre a due … Quindi l’infortunio a Beckenbauer . Al quinto minuto del secondo tempo supplementare, la Germania trovò il pareggio. Il colpo di testa del centravanti Uwe Seeler, su un pallone proveniente da un calcio d’angolo sembrò indirizzare la palla fuori, ma Müller intervenne di testa, trovando uno spiraglio tra Rivera (piazzato sulla linea di porta) e il palo. Albertosi, spiazzato, annaspò. Tre a tre. Ma l’Italia del miracolo economico seppe fare un altro miracolo: dopo appena appena sessanta secondi tornò in vantaggio. Palla rimessa in gioco dal centro campo, undici passaggi, nessun intervento dei tedeschi e conclusione di Rivera, di piatto: 4-3! L’alba trovò l’Italia sveglia, a strombazzare i clacsson per le strade. Era la gioia genuina di un Paese in crescita. Eppoi… Eppoi non andò bene. La finale, contro il Brasile di Pelè, fu una disfatta: 1-4. Proprio quel giorno, 21 giugno 1970, accedde un altro evento che non ho mai dimenticato: Enrico Mattei, il grande direttore dell’alluvione, il giornalista che aveva costretto lo Stato distratto a intervenire sulla Firenze devastata dall’Arno, veniva sostituito. Arrivò Domenico Bartoli, un ottimo giornalista, un signore, ma che non seppe lasciare, quando andò via, un ricordo indelebile alla Mattei. E allora? Cinquant’anni sono passati dalla notte fra il 17 e il 18 giugno 1970. La cronaca e la storia hanno camminato. Ma restano il ricordo e la targa murata nello stadio Atzeca. Oltre alla soddisfazione di aver beffato la Germania (che avremmo battuto anche a casa sua, nella semifinale mondiale del 2006). Contro la quale dobbiamo continuare a … giocare. Anche sui tavoli, più difficili, di Bruxelles


Sandro Bennucci

Direttore del Firenze PostScrivi al Direttore

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