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Governo, manovra: sparisce la spending review, puniti datori di lavoro che licenziano

Conte

ANSA/ANGELO CARCONI

Dalle pieghe delle nuove norme del trio Conte – Speranza – Gualtieri spuntano nuove sorprese, sgradevoli per gli imprenditori e per l’economia in generale. E soprattutto si scopre che lo Stato, nonostante la crescita esponenziale del debito pubblico, non prevede nessuna spending review nei prossimi tre anni. E per di più, probabilmente su pressione della Cgil, ha introdotto una norma sui licenziamenti, che punisce il datore di lavoro: chi licenzierà per motivi economici dovrà pagare un contributo aggiuntivo.

Veniamo a quanto dice Il Messaggero in un articolo a firma Luca Cifoni. «Mentre giustamente il disegno di legge che si sta preparando per il 2021 prevede considerevoli aumenti delle uscite per il sostegno alla sanità al lavoro e alla scuola, dopo gli interventi nella stessa direzione dei vari decreti di emergenza, lo stesso testo sembra escludere un ricorso alla spending review tra le fonti di finanziamento. O meglio, la voce è presente nelle tabelle riepilogative del Documento programmatico di bilancio (appena inviato a Bruxelles) che riassume i contenuti della manovra; ma dalle relative misure, che pure avranno «efficacia immediata» ovvero partiranno dal primo gennaio 2021, lo Stato non ritiene di ricavare nulla nei prossimi due anni. Nel 2023 ci sarebbe invece un risparmio di un miliardo, diviso a metà tra amministrazioni centrali e locali.

Dopo un lungo periodo nel quale vari governi vevano puntato sullo strumento delle spending review per razionalizzare e abbattere la spesa pubblica, adesso evidentemente la scelta politica è quella di non usare questo processo per ricavare effettivi risparmi, almeno non prima del 2023.

Ricorderete tutti la lunga serie di commissari alla spending review, dal 2011, all’incarico per Carlo Cottarelli, che elaborò un programma più ambizioso, anche quello però rimasto in larga parte nel cassetto. I governi successivi, tra un intervento occasionale e l’altro, continuarono comunque a sostenere l’esigenza di tagliare in modo organico le spese improduttive: esigenza che ora non viene negata, ma fortemente attenuata.

Resta il fatto che il Governo dovrebbe pensarci per tempo, visto che risparmi di spesa potrebbero rendersi comunque necessari in futuro, dopo i 100 miliardi di maggior deficit accumulati quest’anno: ad esempio per il 2021 le stesse tabelle del Dpb stimano ben 13 miliardi di effetti di retroazione fiscale o da altre coperture, destinati a scendere a circa 7 l’anno successivo. In pratica, osserva Cifoni, la scommessa è che la spinta all’economia indotta dai maggiori investimenti legati ai fondi europei generi un maggior gettito tributario di quelle dimensioni. Altrimenti si dovrà provvedere in modo diverso.

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