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Un carabiniere lascia una bottiglia d'acqua ad un bimbo

Quel torrido giorno a Nassiriya

La Base Maestrale di Nassiriya dopo l'attentato del 12 novembre 2003
La Base Maestrale di Nassiriya dopo l’attentato del 12 novembre 2003

Faceva caldo a Nassiriya in quel torrido pomeriggio d’agosto. Quarantacinque gradi almeno. Clima secco nel deserto iracheno ma sempre torrido. A bordo di un fuoristrada leggero dei Carabinieri (il classico Veicolo Multiruolo con telone che ripara solo da sole) stavamo rientrando alla base «Maestrale» al termine di un’operazione umanitaria presso un ospedale della zona. C’è rimasta poca acqua a bordo. Il capo pattuglia è il luogotenente Enzo Fregosi, gentiluomo d’altri tempi come dimostrano anche i suoi baffi risorgimentali. «Fermati – dice all’improvviso all’autista in mezzo al deserto – diamo le bottiglie a quei bambini. Ne hanno bisogno più di noi». Come formiche da sotto la sabbia ecco arrivare dal nulla tante piccole braccia tese. Una bottiglia, una caramella in cambio di un sorriso che non ha bisogno di traduttore e si riparte. Senza più acqua di scorta ma con il cuore gonfio di soddisfazione.

Un carabiniere lascia una bottiglia d'acqua ad un bimbo
Un carabiniere lascia una bottiglia d’acqua ad un bimbo

Dopo diversi chilometri si arriva sulle sponde dell’Eufrate. Un ponte porta direttamente in città. Sulla sinistra c’è il comando della base «Maestrale» dei Carabinieri. In quell’area fino a pochi mesi prima c’era la 3ª Divisione dei Marines Usa. La palazzina è soprannominata «Animal House», che la dice lunga sulle condizioni in cui è stata lasciata. I Carabinieri non si perdono d’animo. In poco tempo la riadattano e la rendono vivibile. Non c’è la ringhiera nelle scale tra un piano e l’altro, ma non è una priorità. Importante che siano ben fungibili la sala operativa, le stanze che ospitano il comando, i punti di vedetta sul tetto.

La scelta «politica» è quella di far stare i Carabinieri in città, in mezzo alla gente per farsi conoscere ed apprezzare nel loro ruolo di «peace-keepers», letteralmente addetti al mantenimento della pace. In realtà chiamati a garantire la sicurezza degli abitanti, anche con le armi in pugno se necessario. La gente di Nassiriya capisce e apprezza.

La protezione intorno alla base c’è. Non è blindata ma c’è. Sacchi di sabbia ed «hesco bastion» circondano l’area. «Le difese sono anche proporzionate al tipo di minaccia presunta» conferma ancora oggi a FirenzePost il generale dei Carabinieri (oggi a riposo) Leonardo Leso, nel 2003 comandante della 2ª Brigata Mobile di Livorno da cui dipendono i carabinieri mandati in Iraq. La questione è sempre, ancora una volta, il senno di poi. «Certo – aggiunge – se fosse stato ipotizzato un attacco con un camion pieno di 3500 chili di esplosivo , sarebbe stato costruito un caposaldo nucleare o avremmo spostato la base a 20 chilometri dalla città. Ma nell’ambito dell’Operazione Antica Babilonia non era questa la missione studiata per i Carabinieri, che dovevano stare in mezzo alla gente per aiutarla e sostenerla».

Il 12 novembre 2003 alle 8.40 italiane, due mesi dopo, tre tonnellate di tritolo fanno saltare in aria la Base Maestrale e con essa 19 italiani, di cui 12 carabinieri, e 9 iracheni. Un camion cisterna pieno di esplosivo tenta di sfondare l’accesso al campo ma viene fermato. C’è una sparatoria che dura qualche minuto: un’eternità. Poi il boato, polvere e silenzio. Tanti gli iracheni che accorrono per aiutare gli italiani colpiti. Ma per 19 di loro è troppo tardi.


Sandro Addario

Giornalista

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