Quirinale: Salvini tenta la stretta, in pole c’è Casini (ma si naviga ancora a vista)
ROMA – Quirinale, Matteo Salvini prova a fare sintesi: tenere unita la maggioranza, e quindi il governo, su un nome come quello di Pier Ferdinando Casini (o altro profilo, che ad ora non c’è) o puntare su un nome di centrodestra, opzione rischiosissima e che con il passare delle ore sembra scemare, perché se la spallata, su un nome come Elisabetta Casellati, fallisse, perderebbe la leadership del centrodestra. La terza via, quella di proporre Mario Draghi per il Quirinale, con una scelta su cui Fdi non sarebbe ostile, sembra per ora ancora remota. E nell’avvitamento, tra le fila del M5s e in parte del Pd, si torna a sperare che anche la quarta votazione vada a vuoto e poi la quinta, fino ad arrivare alla richiesta del bis a Sergio Mattarella. Un nome che tenga insieme la maggioranza, dunque.
BERLUSCONI – E’ questa l’opzione che il leader leghista sembra prendere in considerazione a sera, anche dopo una telefonata con Silvio Berlusconi e dopo che dal Cavaliere a trattare vanno Tajani, Ronzulli e Dell’Utri. In campo, di sponda con il centrosinistra, sembrano esserci per ora solo Casini – che però alimenta malumori nel M5s – o Giuliano Amato. Ma il secondo al momento non è un’opzione e su Casini il no di Meloni è netto, mentre i dubbi di Salvini come del Cavaliere sembrano tantissimi ma si diradano con il passare delle ore. Tra le truppe parlamentari, il dubbio è più grande è che l’elezione dell’ex presidente della Camera al Quirinale possa portare alla caduta del governo, con conseguenti elezioni anticipate perché – questa la tesi – Draghi non accetterebbe di restare a Palazzo Chigi.
DRAGHI – Ma è solo la tenuta della maggioranza, ricorda chi è vicino al premier, la condizione cui Draghi ha legato la vita dell’esecutivo, mentre non hanno fondamento le indiscrezioni, che si sono rincorse in queste ore, secondo le quali legherebbe la sua permanenza al governo al nome del capo dello Stato, restando solo in caso di bis di Mattarella o Amato. Casini, dunque. In questa direzione spingono non solo l’area centrista e Matteo Renzi, ma anche diversi esponenti Pd a partire da Dario Franceschini e un pezzo di Fi. Per Enrico Letta e i Dem sarebbe una soluzione tutto sommato indolore. Soprattutto se si considera il punto di partenza. Perché la giornata si apre con l’ipotesi, più che concreta, che Salvini porti il centrodestra (e un pezzo del M5s) a votare Casellati. Letta e Renzi si muovono in asse per dire di no, avvertendo – la Lega ma anche il M5s – che così finirebbe la maggioranza e cadrebbe il governo. Con parole analoghe a quelle di Luigi Di Maio. Anche Giuseppe Conte interviene a dire che sarebbe un errore votare Casellati.
MELONI – Il presidente del Senato ha numerosi colloqui in transatlantico, parla con Meloni e i numerosi parlamentari che la fermano. Ma a sera, dopo ore di tensione a sinistra, l’ipotesi sembra tramontare. Nella lunga giornata di trattative, ci sono colloqui continui tra i leader, Letta e Salvini si vedono. Gira voce (mai confermata) che il leader leghista sarebbe tornato a sentire Draghi. E circolano ipotesi alternative, il giurista Sabino Cassese (che potrebbe essere sostenuto proprio da Salvini, secondo voci non confermate) che però poco piace al M5s, e due candidati graditi a Conte che salderebbero l’asse gialloverde, l’avvocato Paola Severino e il capo del Dis Elisabetta Belloni. La Lega è in fermento.
CROSETTO – Nella terza votazione compaiono non solo tanti voti per Guido Crosetto (nell’interpretazione più diffusa, servono a stoppare Casellati), ma anche qualche scheda per Giancarlo Giorgetti e Umberto Bossi. Non solo Giorgetti, ma anche i governatori sarebbero favorevoli a convergere su Draghi. Si racconta di una riunione di Luca Zaia con i grandi elettori veneti in contemporanea a un incontro di Salvini con i capigruppo e altri dirigenti leghisti. Le diplomazie lavoreranno tutta la notte. Salvini, dopo una giornata ad alta tensione, si prepara a vedere Letta, Conte, Speranza, Renzi, gli alleati di governo. Una fonte renziana, pregustando il successo, quota Casini all’80% e Draghi al 20% di possibilità. Ma i partiti si preparano a tutto, anche a un improvviso cambio di fronte e alla scelta, ipotesi per ora remota, di un nome di centrodestra per contarsi alla quarta votazione che costringerebbe anche il centrosinistra a fare i conti con le proprie divisioni. Il leghista tenta la via della maggioranza unita, per tenere Draghi a Palazzo Chigi. Fino alla quarta votazione, tutto è ancora possibile.