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Negoziati in Qatar: ottimismo cauto di Israele, gelo di Hamas. Appello di Roma, Londra, Berlino e Parigi

Israele parla di “cauto ottimismo”. Hamas gela le aspettative. All’indomani del nuovo round di colloqui a Doha per il cessate il fuoco a Gaza e lo scambio di prigionieri, mediati da Usa, Qatar ed Egitto, il team negoziale israeliano ha riferito al premier Benyamin Netanyahu della “possibilità di avanzare verso un accordo basato sull’ultima proposta americana” che contiene “elementi accettabili per Israele”.

Parole incoraggianti erano arrivate subito anche da Joe Biden che aveva parlato di una “tregua mai così vicina” in oltre 10 mesi di guerra. A smorzare gli animi è stato però lo stesso Hamas che al tavolo non si era nemmeno seduto. Le certezze del presidente americano sono solo “un’illusione”, ha tagliato corto Sami Abu Zuhri, esponente di spicco dell’ufficio politico di Hamas, respingendo come “diktat americani” quelli che Washington definiva progressi. Lo scoglio, infatti, resta al momento il rifiuto di Hamas a partecipare a nuovi colloqui insistendo di voler implementare il piano illustrato da Biden a fine maggio: con una prima fase di sei settimane di tregua, il ritiro dell’Idf dalle zone più popolate della Striscia e la liberazione degli ostaggi; e una seconda fase con il ritiro totale dell’esercito israeliano da Gaza. La fazione palestinese accusa ora Israele di aver posto “nuove condizioni”, tra cui la permanenza delle truppe al confine tra la Striscia e l’Egitto, lungo l’asse Filadelfia, e una sorta di diritto di veto sui nomi dei detenuti palestinesi da scarcerare in cambio degli ostaggi.

Ma mentre la prossima settimana le trattative riprenderanno al Cairo e il segretario di Stato Usa Antony Blinken è in arrivo in Israele per vedere Netanyahu lunedì, Israele nutre “la speranza che la forte pressione su Hamas da parte degli Stati Uniti e dei mediatori porterà a rimuovere la sua opposizione alla proposta americana, consentendo potenzialmente una svolta nei negoziati”, ha fatto sapere l’ufficio del premier. “Non possiamo perdere tempo”, ha incalzato anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, commentando su X una dichiarazione congiunta di Italia, Regno Unito, Germania e Francia di “sostegno agli sforzi di mediazione in corso di Usa, Egitto e Qatar per un accordo” tra Israele e Hamas.

Il titolare della Farnesina e i ministri di Londra, Berlino e Parigi esortano “tutte le parti a continuare a impegnarsi in modo positivo e flessibile in questo processo” e a “evitare qualsiasi azione di escalation nella regione che minerebbe la prospettiva di pace”. “C’è troppo in gioco”, avvertono le quattro cancellerie europee. E’ tuttavia sul terreno che il cessate il fuoco appare ancora lontanissimo. Almeno 15 persone, membri di una stessa famiglia tra cui nove bambini tra i 2 e i 17 anni, sono state uccise in un raid israeliano che ha centrato la loro casa ad al-Zawayda, nel centro della Striscia, ha denunciato la Difesa civile palestinese. L’Idf non ha confermato, mentre ha riferito di aver eliminato diversi “terroristi” a Rafah e a Khan Yunis, nel sud dell’enclave. E ha diramato nuovi ordini di evacuazione dei civili proprio da Khan Yunis e da Deir al Balah, nel centro.

Sul fronte nord di Israele, il sud del Libano, l’Idf ha detto di aver attaccato un deposito di armi di Hezbollah nella zona di Nabatieh: secondo il ministero della Sanità di Beirut, sono invece rimasti uccisi 10 cittadini siriani, tra cui una donna e i suoi due bambini. Si tratterebbe dell’attacco israeliano in Libano più sanguinoso dall’inizio della guerra a Gaza e da quando il gruppo armato del Partito di Dio ha deciso di dare man forte a Hamas dal nord. I miliziani filoiraniani hanno quindi risposto con il lancio di 55 razzi sul nord dello Stato ebraico, per lo più – ha riferito l’Idf – caduti in aree aperte. L’esercito israeliano ha poi annunciato di aver ucciso con un drone in un raid mirato un comandante di Radwan, la forza di élite di Hezbollah, Hussein Ibrahim Kassab, colpito mentre guidava una motocicletta nei dintorni della città costiera di Tiro.

Un incessante scambio di fuoco che potrebbe minare gli sforzi per una tregua e appiccare la miccia mai del tutto spenta di un attacco coordinato di Hezbollah e Iran contro lo Stato ebraico come rappresaglia all’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran e del capo militare di Hezbollah, Fuad Shukr, a Beirut.



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