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Trump: “Martedì parlerò con Putin”. Il Cremlino conferma. Però l’agenda è ancora top secret

Trump Putin.jp
Trump e Putin

Donald Trump, oggi 17 marzo 2025, ha rivelato: “Parlerò con Putin domani mattina, martedì 18 marzo”. Aggiungendo: “Abbiamo ottime chance di mettere fine a questa guerra”, ha dichiarato il presidente americano a bordo dell’Air Force One ostentando ottimismo nonostante il leader del Cremlino non abbia ancora sciolto la riserva sul cessate il fuoco di un mese proposto dagli Stati Uniti e già accettato da Volodymyr Zelensky.

Anzi, Putin ha finora frenato, delineando una serie di condizioni, tra cui la sospensione del riarmo dell’Ucraina e degli aiuti militari occidentali. “Abbiamo lavorato molto nel weekend”, ha spiegato The Donald che ha parlato di “progressi” nei negoziati. La portavoce Karoline Leavitt ha ribadito che “siamo a pochi passi” da un accordo. “Non siamo mai stati più vicini alla pace di quanto lo siamo in questo momento: siamo alle ultime 10 iarde. E il presidente, come sapete, è determinato a raggiungere un’intesa”, spingendosi anche – secondo alcune fonti a Semafor – fino al riconoscimento della Crimea russa.

Il Cremlino ha confermato la telefonata tra i due leader ma non ha svelato nessun dettaglio sull’agenda. “La conversazione è in effetti in fase di preparazione ma a nostro avviso, ovviamente, una conversazione tra due presidenti non è soggetta a priori a nessuna discussione significativa. Pertanto, non lo faremo”, ha dichiarato il portavoce Dmitry Peskov. “Parleremo di terre, che come sapete sono molto diverse da come erano prima della guerra, e parleremo di centrali elettriche”, ha precisato il commander-in-chief rispondendo ad una domanda sulle “concessioni” necessarie per arrivare all’intesa. Proprio questo sarà il nodo più difficile da sciogliere.

Se da una parte Zelensky continua a ribadire che la sovranità e l’integrità del suo Paese non sono negoziabili, dall’altra parte Putin ha posto il ritiro delle truppe di Kiev da tutte e quattro le regioni conquistate militarmente e annesse illegalmente – Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia – come una condizione per la pace. E poi c’è la questione della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa ora controllata dalla Russia. E’ probabile che Trump si riferisse proprio allo strategico impianto quando ha detto di aver “dicusso molto con Russia e Ucraina” per “dividere certi asset”.

Dopo il disastroso incontro nello Studio Ovale il leader ucraino ha accettato l’idea di dover cedere su alcuni punti ma continua a premere per avere assicurazioni sulla sicurezza a lungo termine, incluso il rafforzamento del suo esercito. “E’ una priorità immutabile e su questo tema non si può tornare indietro. Le forze di difesa e di sicurezza dell’Ucraina, il complesso industriale della difesa e l’interazione a più livelli con i partner costituiscono il fondamento della nostra indipendenza”, ha scritto su Telegram dopo un incontro con il suo ministro della Difesa, Rustem Umerov, e il nuovo Capo di Stato Maggiore, il Generale Andriy Gnatov. Tramontato, almeno per tutta la durata della presidenza Trump, il sogno ucraino di entrare nella Nato Zelensky può ancora contare sul sostegno di Unione europea, Gran Bretagna e Canada che stanno lavorando insieme per costruire un ombrello difensivo per Kiev e garantire che la Russia si impegni per una pace duratura. Il premier canadese ha parlato nel weekend con il presidente ucraino e lo ha invitato al vertice del G7 in Alberta il prossimo giugno.

Intanto, in vista del colloquio con Putin, l’amministrazione Trump ha annunciato il ritiro dall’organismo internazionale istituito nel 2023 dall’Unione europea per indagare sui leader responsabili dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tra cui il presidente russo. Si tratta dell’ultima di una serie di decisioni che indicano il progressivo riavvicinamento di Washington a Mosca, dopo lo smantellamento nel weekend di Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty . Non è un caso che il Cremlino abbia accolto con favore la decisione di congelare i finanziamenti del governo americano per le emittenti che il portavoce Peskov ha bollato come “media propagandistici, puramente propagandistici”.



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