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Pd, primarie finte. Ma ora serve uno sfidante vero

Palazzo Vecchio
Palazzo Vecchio

Nel mondo della boxe, per costruire un campione, si usava allungare il record del prescelto mettendogli di fronte pugili meno quotati. Cioè scartine. Obiettivo: farlo vincere facile. E senza rischi. Più o meno la stessa strategia che Matteo Renzi, e in particolare il Pd fiorentino, hanno messo in pratica per fare di Dario Nardella, unto dal signore (esse minuscola, per carità), il candidato sindaco e probabile successore del neo presidente del consiglio. In parole povere, diciamo che le primarie piddine del 23 marzo assomigliano molto a una commedia con copione già scritto: Nardella trionferà, battendo nettamente i due sfidanti, ossia gli occasionali sparring partners, Iacopo Ghelli, civatiano e votato al sacrificio, e Alessandro Lo Presti, ex area Marino, vicino a Daniela Lastri, sconfitta da Renzi nelle primarie (vere) del 2009.

SCALATA – Perché questo voto se l’esito è scontato? Due le ragioni. La prima: quando nessuno poteva immaginare la strepitosa scalata di Matteo, ed era ragionevole pensare che potesse ricandidarsi a sindaco di Firenze, il partito scrisse che, in caso di sua rinuncia, ci sarebbero volute le primarie per scegliere il successore. La seconda: il fatto stesso di chiamare in anticipo simpatizzanti e iscritti alle urne, significa avviare il vincitore alle elezioni di maggio sulle ali dell’entusiasmo o, comunque, di una ventata di popolarità.

GIANI -Il problema sono le primarie finte. Con tutto il rispetto per Ghelli (che richiama l’attenzione su questioni vere, come il nuovo inceneritore e i problemi della Piana) e per Lo Presti (che non si è mosso male nei suoi incarichi amministrativi), Nardella non avrà, con loro, le difficoltà che avrebbe incontrato se fosse sceso in campo lo sfidante naturale, Eugenio Giani, che studia da sindaco da almeno 15 anni. E che difficilmente riuscirà a conquistare la Sala di Clemente VII di Palazzo Vecchio. E’ stato messo fuorigioco, il buon Eugenio, da una promessa a mezza voce di Renzi. Un bisbiglio. Percepito come la garanzia di una poltrona da sottosegretario e che, invece , doveva essere inteso solo come la sedia di consigliere del premier per lo sport. Fuorigioco anche un altro possibile sfidante: Andrea Barducci, presidente della Provincia, che aveva addirittura immaginato di diventare sindaco di una ipotetica area metropolitana.

DINASTIA – Ma a questo punto occorre dire che la partita per il sindaco di Firenze non può finire così. Nel senso che, almeno nelle elezioni di maggio, bisogna che Nardella si trovi di fronte un avversario di peso. Qualcuno obietterà: problema del centrodestra o di un’eventuale listone civico… No, problema di tutti i partiti. E soprattutto del futuro di Firenze e della credibilità della politica. La gente non ne può davvero più di essere governata da “nominati” di vario tipo. Renzi è diventato presidente del consiglio senza essere stato eletto; deputati e senatori non sono passati al vaglio delle preferenze (le primarie del Pd, come si vede, possono avere varie sfaccettature…), i consiglieri regionali nemmeno. Se anche il nuovo sindaco di Firenze dovesse essere eletto senza apparente sforzo, i suoi problemi crescerebbero. Il rischio? Che la democrazia si trasformi in … dinastia. Dopo la sceneggiata del Pd, le altre forze politiche non possono permettersi d’indicare, a loro volta, candidati deboli. O troppi, in modo da provocare dispersione di voti. Gli sparring partners servono in allenamento. Il match vero dev’essere realmente equilibrato e combattuto. Altrimenti la gente si stanca… di pagare il biglietto.


Sandro Bennucci

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