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Personale di manovra di Nave Durand de la Penne

Lungo il Tamigi con il cacciatorpediniere Durand de la Penne, sulle rotte di Nelson

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FOCE DEL TAMIGI – Provate a pensare di far passare una nave da guerra lunga 148 metri e larga 16 attraverso una chiusa lunga 180 ma soprattutto larga appena 20. Chiamarla manovra «chirurgica» è poco. È quanto è successo ieri nel porto di Londra all’interno delle banchine di West India Dock, dove per cinque giorni è rimasto ormeggiato il cacciatorpediniere lanciamissili «Luigi Durand de la Penne» che ospita a bordo –in addestramento – 89 allievi della 1ª classe dell’Accademia Navale di Livorno.

Quasi tre ore per compiere qualche centinaio di metri prima di guadagnare gli spazi più aperti del Tamigi e puntare verso la foce. Direzione Francia, oceano Atlantico, mar Mediterraneo. Una rotta che il leggendario ammiraglio Orazio Nelson, trionfatore della battaglia di capo Trafalgar, conosceva come le proprie tasche.

Tutto, a bordo nella nave italiana, è pronto per il «disormeggio» previsto per le 14.30. Arrivano puntuali due grossi rimorchiatori. Il comandante Ostilio de Majo fa salire a bordo il pilota inglese e quindi riunisce i propri ufficiali per le ultime istruzioni. In coperta il personale di manovra e molti degli allievi, a metà tra la curiosità ed un pensiero fisso: «una delle prossime volte toccherà anche a noi».

Come far passare davvero un cammello (o «cammeo», una grossa corda, secondo le interpretazioni) dalla cruna di un ago. Un urto, anche lieve, dello scafo lungo le pareti della chiusa non farebbe bene a nessuno. La manovra è lenta e paziente, ma perfetta. Ore 17.15. Un fischio. Nave Durand de la Penne saluta la City e volge la prua a est.

Davanti ci sono circa 70 miglia (quasi 130 chilometri) lungo le non facili anse dell’estuario del Tamigi. Un percorso inconsueto per un cacciatorpediniere, nato per correre sul mare anche oltre 30 nodi e che sui bassi fondali del grande fiume procede a circa 13 nodi, dei quali 3 formati dalla forte corrente che spinge verso la foce. Come il «vento in poppa» insomma.

Dopo qualche ora è previsto l’arrivo in mare aperto. Ma anche qui non è tutto semplice. Occorre – ci spiega il comandante, cartografia alla mano – seguire una rotta un po’ più lunga ma di sicurezza per evitare fondali bassi, sabbiosi e pieni ancora di residuati bellici. Ma soprattutto occorre riuscire a passare nel momento di maggior equilibrio tra le forze della corrente del fiume e quella dell’alta marea del mare del Nord.

Dalla plancia di comando il paesaggio è surreale. Un silenzio assoluto, in mezzo ad un braccio di fiume largo già almeno 10-12 chilometri, ma percorribile solo su «corridoi» stretti e ben delimitati da una multiforme quantità di boe. All’orizzonte una moltitudine sterminata di pale eoliche sembra quasi disegnare il confine tra fiume e mare. Non lontane, fermi in mezzo all’acqua da oltre 70 anni, microscopici edifici a palafitta, utilizzati durante la seconda guerra mondiale per affrontare con la contraerea gli attacchi aerei in arrivo dalla Germania e diretti su Londra. Come monumenti storici, lasciati al loro posto in attesa che il mare non li divori definitivamente.

(Continua – 2)

ARTICOLI PRECEDENTI:

13 ago 2014 – Il Durand de la Penne lascia il porto di Londra. A bordo della nave intitolata all’eroe di Alessandria d’Egitto, 90 allievi dell’Accademia Navale di Livorno


Sandro Addario

Giornalista

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