Quella Toscana antica negli scatti dei fotografi dilettanti
Firenze, 24 settembre 2014 – Paesaggi mozzafiato, scorci suggestivi e ritratti carichi di espressività in una serie di scatti degli anni Venti e Trenta: il libro di Daniela Cammilli “Istantanee d’epoca. Fotografia in Toscana 1920-1940” (Polistampa, pp. 120, euro 28) è sia uno studio prezioso sui fotografi amatoriali che operavano a Firenze e dintorni, sia una galleria di immagini inedite laboriosamente recuperate da archivi locali e fondi privati. Gli anni Trenta sono un periodo di svolta per la fotografia, che da semplice strumento documentale inizia ad assumere un forte valore estetico e artistico. L’autrice, storica dell’arte con numerose pubblicazioni alle spalle e collaborazioni con l’Istituto Centrale per la Documentazione di Roma, il Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, la Soprintendenza Archivistica per la Toscana e il Gabinetto Vieusseux, si concentra sul lavoro di fotografi non professionisti: operatori che, con grandi capacità tecniche, gusto e perizia, effettuavano scatti nelle loro città e nei loro ambienti, in un lavoro fondato spesso su immagini dal taglio sapiente e inquadrature insolite che ha il merito di restituire scorci cittadini ormai perduti, e con essi antichi volti, mestieri e saperi. “A Firenze”, racconta la studiosa, “accanto a stabilimenti fotografici consolidati come Alinari e Brogi, esempi di una tradizione ‘di bottega’ altamente qualificata, si muovono altrettante valenti figure di ‘virtuosi’, impegnati a percepire la bellezza circostante e tradurla con il solo e unico piacere di creare”. È il caso ad esempio del Gruppo Fotografico Toscano, ma anche di altri nomi che tuttavia rimangono meteore nel clima culturale diffuso in aree geografiche di periferia. Le oltre settanta foto riprodotte nel volume sono testimonianza del lavoro appassionato e a tratti innovativo di questi “dilettanti”, e nel complesso di un mondo, quello dei nostri nonni e bisnonni, che è sempre più lontano nei ricordi: un mondo di cui la grazia del bianco e nero, come scrive Cristina Acidini nell’introduzione, “capta tutta la transitoria fragilità”.
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