L’Ue: Italia maglia nera. Nel 2015 picco storico del debito e crescita lenta
«L’Italia sta facendo cambiamenti importanti, ora bisogna vedere se saranno attuati». Così il commissario agli Affari economici dell’Unione europea, Jirky Katainen, aveva affermato dopo il via libera alla legge di Stabilità da parte di Bruxelles. Un ok che però non allentava la tensione sul Belpaese: «Il fatto che non abbia riscontrato serie deviazioni dalle regole del Patto non pregiudica la nostra analisi finale e non esclude che la Commissione possa adottare procedure».
DEFICIT – Puntuali sono arrivati i rilievi di novembre che offrono un quadro meno ottimistico di quanto aveva previsto il Governo. Le notizie che tengono elevata l’allerta per i conti pubblici tricolori si leggono sul fronte del deficit e del debito. Quest’anno, infatti, secondo i conti della Commissione si chiuderà con un disavanzo al 3% del Pil, proprio il limite oltre il quale scatta la possibile procedura d’infrazione, dalla quale l’Italia è uscita con difficoltà grazie agli sforzi dei precedenti governi e dei cittadini. Si tratta del livello, d’altra parte, che lo stesso governo aveva scritto nel Def e nel suo aggiornamento, richiamando la flessibilità richiesta in tempi di recessione. La Commissione inoltre traccia un percorso di riduzione molto più lento rispetto a quello promesso da Roma: 2,7% nel 2015 (contro 2,2 del governo), 2,2% nel 2016 (contro 1,8 del governo).
DEBITO – Per quanto riguarda il debito, invece, si avrà un picco storico dell’indebitamento nel 2015, quando si passerà dal 132,2% del Pil per il 2014 al 133,8%, per scendere al 132,7% nel 2016.
OCCUPAZIONE – L’occupazione andrà male anche nel 2015, quando il 12,4 per cento della forza lavoro sarà inattiva, come nel 2014. L’anno successivo si potrebbe scendere a 12,4. Il dramma continua, a meno che le riforme promesse e non ancora realizzate non abbiamo un effetto concreto rapido e superiore alle aspettative.
SPESA – La spesa corrente aumenterà soprattutto a causa degli 80 euro decisi dal governo, osserva la Commissione, mentre i salari pubblici resteranno fermi. Nonostante il taglio del cuneo fiscale, Bruxelles prevede un aumento della pressione fiscale legata «a un aumento delle tasse corporate e a una maggiore ritenuta sulle rendite finanziarie». Se non muteranno le politiche, il deficit 2016 sarà pertanto al 2,2 per cento del Pil, contro lo 0,8 promesso dal governo Renzi.
BILANCIO – Date queste condizioni riuscirà l’Italia a raggiungere il pareggio di bilancio promesso, che l’Europa voleva per il 2015 e che Roma ha promesso prima per il 2016 e poi per il 2017? Bruxelles non lo scrive nelle previsioni. Ma a guardare solo i numeri citati e nell’incertezza dei risultati delle riforme promesse e ancora non attuate da Renzi è difficile credere che ci si possa arrivare senza altri interventi. Anche perché non si pone mano radicalmente alla riforma più necessaria: l’abbattimento radicale del numero dei politici che proliferano e costano sempre troppo sia a livello nazionale che locale.
STATI – Secondo l’analisi più generale su tutti gli Stati membri, la Commissione ha individuato margini di crescita in Spagna, dove però la disoccupazione resta alta; una crescita destinata all’arresto in Germania, dopo un primo trimestre molto forte, una stagnazione duratura in Francia e una contrazione in Italia. Se è vero che tutta la zona euro soffre e non riesce a tirarsi fuori dalle difficoltà, ciò non vuol dire però che l’Italia non debba fare gli sforzi maggiori per recuperare competitività e credibilità. Quella vantata a parole da Renzi prima o poi, se la situazione non muta radicalmente, è destinata a cadere. Tanto più che il nostro premier insiste nel trattare in modo sprezzante la Commissione, definita come una banda di burocrati. E ha ricevuto dallo stesso Presidente Claude Juncker una risposta dura: «la Commissione è una istituzione europea che va rispettata». Se avesse davvero seguito il consiglio dei burocrati «il giudizio sul bilancio italiano sarebbe stato molto diverso». Col suo fare da rodomonte Renzi finirà per alienarsi anche le esigue simpatie di cui ancora gode in Europa.